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Cuperlo: “Resto nel partito ma la responsabilità più grande è di chi stava alla guida”

Sì se ne vanno, non tornano indietro… Ore di vigilia in cui Gianni Cuperlo continua a sperare che un piccolo margine ci sia ancora. Ci vorrebbe, però, dice Cuperlo, un altro atteggiamento da parte del segretario: «Renzi sembra non capire l’effetto che avrebbe una scissione. Se fosse così, se non ha capito, avrei davvero la conferma della sua inadeguatezza».

Cuperlo, secondo lei Renzi pensa di aver vinto la sfida?

«Il problema è proprio questo: Lui pensa di aver vinto e invece ha perduto perché le minoranze avranno fatto i loro errori ma se il Pd si rompe la responsabilità più grande è di chi stava alla guida».

Oggi Renzi non sarà nemmeno alla direzione.

«Sarebbe un altro errore dopo quello di domenica quando il segretario non ha sentito il dovere di alzarsi e replicare alle richieste che gli erano venute da tanti, Franceschini, Veltroni, Emiliano, Fassino. Ho letto che se ne è andato soddisfatto per aver regolato i conti. Se fosse vero, se davvero non ha compreso che dopo una rottura nulla sarebbe uguale a prima, avremmo, lo ripeto, la conferma della sua inadeguatezza».

Tornerà segretario, finalmente senza oppositori interni…

«Chi ragiona così è un irresponsabile. Ma anche questo fa parte di una regressione della cultura di questa classe dirigente. Troppi non capiscono che perdere un pezzo sarebbe la fine del progetto per come lo abbiamo pensato. Sarebbe una sconfitta per milioni di persone che hanno scommesso sulla nascita di un partito popolare, inclusivo, interprete di valori e passioni della sinistra nelle sue diverse stagioni e culture».

Lei rimane?

«Io sono un uomo di sinistra. E voglio militare in una forza che sia espressione di quella tradizione. Ai compagni che stanno per fare una scelta diversa dico: proviamo fino all’ultimo a difendere il progetto più ambizioso che la sinistra abbia realizzato nell’ultimo quarto di secolo».

Come vede un’eventuale candidatura di Andrea Orlando alle primarie?

«Stimo Orlando, è un amico. Penso che assieme a lui e altri dobbiamo immaginare la discontinuità più netta con questi anni che hanno visto il leader del Pd rompere l’unità del Paese, del suo campo, del partito. Vorrei che fossimo capaci di unire tutte le forze che pensano ad un’alternativa non solo possibile ma necessaria. Tutte. E che trovassimo assieme la candidatura più forte e credibile per scalare la montagna. Una cosa le dico: il congresso che verrà penso si possa vincere. Non partecipare, vincere».

Gli italiani capiscono quello che sta succedendo o vi volteranno le spalle?

«Alle regionali, nelle città, al referendum molti italiani a questo Pd hanno già voltato le spalle. Non averlo visto è una causa della crisi. Per citare Del Rio se nella diga si apre una crepa e l’acqua inizia ad uscire è impossibile prevedere ciò che accadrà. Registro il contrapporsi di due fragilità e sono turbato perché rischiamo di non essere compresi dalla nostra gente. Servirebbero coscienza dei nostri limiti, umiltà e molta, molta generosità, ciò che domenica, all’assemblea, è mancato».

Veltroni teme il ritorno al passato, di nuovo Ds e Margherita

«Io so che dieci anni fa sedevo nella segreteria dei Ds e mi spiegarono che dovevamo fare il Pd perché col 18 per cento dei voti non bastavamo a noi stessi. Pensare di aver buttato dieci anni per tornare a prima della partenza mi pare un errore da scongiurare fino all’ultimo. In questo senso temo che rompere il Pd possa rivelarsi un’operazione antistorica».

Se l’aspettava che uno come Bersani potesse decidere di lasciare la Ditta?

«Bersani è stato per quattro anni il leader di questo partito. Se un uomo con la sua storia e cultura minaccia un passo del genere senza che l’attuale vertice senta il peso enorme di quella frattura il problema non è Bersani ma chi ha ridotto la politica a contabilità».

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