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Fedeli: Donne e lavoro, c’è ancora molto da fare

Oggi celebriamo, come ogni anno, la Festa dei lavoratori, una ricorrenza che ha una storia importante nel nostro paese e che rappresenta in tutto il mondo un’occasione per rilanciare le battaglie per l’occupazione, i diritti e la dignità del mondo del lavoro. In questa giornata, ritengo essenziale dedicare l’attenzione dovuta alle donne: alle donne che lavorano, in casa e fuori casa, a quelle che sono escluse dal mercato del lavoro, a causa delle discriminazioni e diseguaglianze che ancora persistono nelle opportunità di impiego e nella ripartizione delle responsabilità familiari e di cura.

 

Secondo il recente rapporto dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL),Women at Work: Trends 2016, che analizza i dati degli ultimi vent’anni in 178 paesi, a livello globale dalla Conferenza di Pechino ad oggi si sono verificati solo lievi miglioramenti nella posizione delle donne nel lavoro, a dispetto dei progressi molto significativi che si sono invece verificati nel campo dell’istruzione femminile. Resta infatti molto elevato, vicino al 27%, il divario di genere nella partecipazione al mercato del lavoro, in particolare in alcune regioni del mondo, come i paesi arabi, l’Asia meridionale, il Nord Africa. In Europa, il gap occupazionale si è ridotto, ma in alcuni casi a questo risultato ha concorso la diminuzione del tasso di occupazione maschile dovuta alla crisi economica. Proprio in questi giorni abbiamo ricevuto con preoccupazione i nuovi dati di Eurostat che fanno il punto sul raggiungimento degli obiettivi paese fissati per il 2020. L’Italia è ancora distante dall’obiettivo del 67% di occupati, attestandosi al 60,5% che è una delle percentuali più basse tra i paesi dell’UE, con un miglioramento negli ultimi due anni solo sul fronte degli occupati tra i 55 e i 64 anni. Particolarmente allarmante è il divario di 20 punti tra il numero di uomini e donne che lavorano: il maggiore nel panorama dell’Unione, con l’unica eccezione di Malta.

 

Uno dei principali ostacoli alla piena partecipazione delle donne al mercato del lavoro è ancora la diseguale ripartizione del lavoro domestico e di cura tra uomini e donne, specialmente dove mancano politiche efficaci di condivisione e di conciliazione. Rispetto agli uomini, infatti, le donne continuano a lavorare meno ore fuori casa e più ore dentro casa, dove portano sulle proprie spalle la grande maggioranza del peso degli impegni domestici e di cura. Questo è vero secondo l’OIL sia per i paesi a basso reddito sia per quelli ad alto reddito: nel mondo le donne svolgono in media una mole di lavoro in casa che supera di due volte e mezza quella degli uomini. Dove il divario si è andato riducendo non è tanto per la maggiore partecipazione degli uomini agli impegni familiari, ma piuttosto per l’aumento di ore lavorate fuori casa dalle donne, mentre la cura dei figli resta principalmente un compito femminile. In Italia, secondo l’OCSE, ogni donna in Italia dedica 36 ore la settimana ai lavori domestici e di cura familiare, mentre gli uomini non vanno oltre le 14: sono 22 ore di differenza e si tratta del divario maggiore tra tutti i paesi industrializzati.

 

L’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile 2030 ha riaffermato l’importanza cruciale dell’eguaglianza di genere per il raggiungimento dei 17 Obiettivi. In particolare, l’accesso a lavori di qualità, la protezione sociale, le misure che riconoscano e redistribuiscano il carico domestico e di cura, sono tutti considerati fattori indispensabili per realizzare traguardi come ridurre la povertà (Obiettivo 1) e le diseguaglianze (Obiettivo 10), raggiungere l’eguaglianza di genere (Obiettivo 5) e promuovere una crescita economica inclusiva e sostenibile, piena e produttiva occupazione e un lavoro decoroso per tutte e tutti (Obiettivo 8).

 

Le politiche pubbliche per l’occupazione femminile non possono prescindere dalla costruzione delle condizioni per condividere strutturalmente il lavoro con la libertà di scelta di mettere al mondo dei figli. È un’esigenza ormai ampiamente riconosciuta, non solo dalle Nazioni Unite e da organismi internazionali come l’OIL, ma anche dalle istituzioni europee. Per quanto riguarda l’Italia, dove le necessità di cura familiare rappresentano per le donne il più grande ostacolo all’ingresso, alla permanenza e alla possibilità di fare carriera nel mercato del lavoro, sono stati compiuti grandi passi nella direzione giusta con le misure incluse nel Jobs Act (decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 80, “Misure per la conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro”), che sarebbero ulteriormente rafforzate da altre misure a sostegno della condivisione della responsabilità genitoriale tra uomini e donne come quelle previste dal disegno di legge n. 2082 “Misure a sostegno della condivisione della responsabilità genitoriale”, di cui sono prima firmataria in Senato.

 

È chiaro, tuttavia, che dinanzi a una sfida di dimensioni globali come quella della partecipazione paritaria dei due generi al mercato del lavoro, servono non solo politiche di welfare e occupazionali, ma anche un impegno che produca cambiamenti culturali profondi sia nel mondo delle imprese sia nella società in generale. A questo cambiamento sta contribuendo l’aumento della rappresentanza delle donne in politica e nei luoghi decisionali. Come ha affermato la Ministra per le Riforme Costituzionali e le Relazioni con il Parlamento Maria Elena Boschi, nel suo recente intervento all’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa, “una maggiore presenza di donne consentirà ai nostri governi e ai nostri parlamenti di essere più attenti alle scelte in alcune aree politiche, ad esempio quando si tratta di conciliare le esigenze della vita professionale e quelle della vita familiare o di migliorare la protezione sociale che riguarda più in particolare le donne”.

 

Valeria Fedeli, Unita.tv

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