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Morani: Stop ai femminicidi con il braccialetto anti stalker

Gessica sfregiata con l’acido, Rosanna assassinata dal marito.
Sono solo due delle donne che nelle ultime ore hanno subito violenza per mano di un compagno, di un marito, di un ex fidanzato. Qualcuno che di certo non le amava. La piaga del femminicidio ha ucciso negli ultimi dieci anni 1740 donne, ma anche se fosse una sola risulterebbe comunque intollerabile in un mondo che si avvia a superare la contrapposizione tra sessi e che abbiamo il dovere di restituire ai nostri figli più paritario, più giusto, più civile.
Alcune morti nel corso dell’ultimo anno potevano però essere evitate, e vi spiego la ragione: insieme alla legge sul Femminicidio del 2013 sono stati introdotti, con un mio emendamento, i braccialetti antistalker e finalmente da gennaio del 2016 sono a disposizione dei magistrati.
Di cosa si tratta? Semplicemente di un dispositivo elettronico, sotto forma di cavigliera,collegato a un gps delle dimensioni di un piccolo telefonino che segnala alla vittima se il suo aggressore si trova nei paraggi, nel raggio di due chilometri, o comunque se viola la distanza di sicurezza stabilita dal giudice. E’ uno strumento che consente alle donne di sentirsi libere e protette e che ha avuto una percentuale di successo del cento per cento nei Paesi dove è stato introdotto: cito per tutti il caso della Spagna dove su 756 coppie monitorate non si sono verificati più omicidi.
Qual è il problema allora? E’ una domanda che continua a girarmi in testa poiché al Ministero dell’Interno sono pronti e disponibili da oltre un anno venticinque braccialetti anti stalker ma soltanto in un caso, nel veneziano, un giudice ne ha di recente previsto l’utilizzo. Perché? Perché c’è questa forma di resistenza alla sperimentazione in Italia, dove ancora i femminicidi restano una costante nell’onda calante dei reati violenti?
Il femminicidio è questione politica, la libertà e la salute delle donne deve essere tutelata dallo Stato in ogni modo. Sono quindi qui a chiedere con forza alla magistratura di voler prendere provvedimenti efficaci per tutelare le donne dalla violenza che le uccide. Il questore di Milano ha esortato le donne a denunciare di più dopo l’ennesimo atto disumano ai danni di una donna che ha subito per vent’anni la violenza domestica. Ed è un bene che si alzi la voce degli uomini perché sappiamo quanto il femminicidio sia questione che interroga l’intera società senza dividerla per genere.
Gli uomini devono prendere posizione e devono farlo anche i giudici e gli avvocati, e quanti lavorano a tutela di chi ha il coraggio di denunciare. Si attivino per applicare a queste coppie il solo strumento che rende davvero impossibile le aggressioni: basta leggere le cronache per capire che l’uccisione è l’ultima fase di una lenta e progressiva serie di episodi violenti.
Evitare i contatti resta l’unico modo certo per non piangere più le nostre sorelle, madri, amiche. L’unico rimedio pratico, accanto al quale vanno certamente previsti tutta una serie di cambiamenti culturali che impegnano la società tutta. Dall’educazione alla parità di genere sin dall’infanzia alla conciliazione condivisa in famiglia, dal diritto alla paternità accanto a quello alla maternità, alla presa di posizione degli uomini contro il femminicidio. Perché questa è una battaglia che si vince solo se siamo uniti, donne e uomini. Ma è una metamorfosi che richiede tempo, pazienza, costanza.
Nel frattempo non possiamo più permettere che una sola di noi muoia. Si può fare, a cominciare dalla divulgazione dei braccialetti anti stalker che eviteranno nuove vittime e anche nuovi carnefici.

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