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Martina: Il centrosinistra? Basta tatticismi o si è lontani dal Paese reale

Maurizio Martina, è andata male o, come dice Matteo Renzi, «poteva andare meglio»?

«Dobbiamo leggere la complessità del passaggio, non ci nascondiamo che il segno non è quello che volevamo». Che segno? «Ci sono sconfitte che fanno male, che bruciano. E un messaggio da recepire, che muove prima di tutto dall’astensione. In alcune realtà, poi, ci siamo seduti su noi stessi o abbiamo sbagliato strada. Non dobbiamo minimizzare».

 

Genova, Pistoia, L’Aquila: sconfitte clamorose. C’è un dato comune? «C’è una sofferenza che noi per primi vediamo. E dentro questo vuoto, senza mettere bandierine, ci sono anche affermazioni importanti da valorizzare, come quelle di Padova, Lecce e Taranto. Anche riflettendo su queste esperienze possiamo riorganizzare il lavoro e rilanciare la nostra sfida».

 

E come si fa?

«Domani (oggi, ndr) è un anniversario importante: sono passati dieci anni dal Lingotto di Walter Veltroni. Un momento che ha segnato una tappa fondamentale per il Pd».

 

Perché?

«Perché quella proposta rimane di straordinaria attualità. C’era una visione dell’Italia e del cambiamento necessario. Penso ad alcuni nodi cruciali: la questione della precarietà generazionale, la sfida demografica, il nuovo nesso cittadinanza-sicurezza, la modernizzazione dello Stato».

 

Non è quello di cui si discute ora.

«La competizione con la destra si misurerà anche sulla capacità di uscire da una discussione tattica e politicista fatta di formule. Dobbiamo superare l’asfissia del dibattito interno al ceto politico, che rischia di essere lontano dal Paese reale, e rilanciare lo spirito originario del Pd».

 

In che modo?

«Anche scrollandoci di dosso questa dinamica per la quale il Pd viene vissuto come il capro espiatorio di tutto. Per farlo, tocca a noi il rilancio progettuale con una iniziativa aperta e inclusiva che si misuri con i temi del cambiamento del Paese e con la vita delle persone. Ci concentreremo sul progetto alternativo alla destra e ai 5 Stelle. E questa alternatività deve essere esaltata. Anche perché dove la destra si riorganizza, può far male».

 

C’è chi dice che in questa tornata la formula del centrosinistra ha perso (vedi Roberto Giachetti) e chi vuole rilanciarlo (vedi Andrea Orlando).

«Queste amministrative segnalano anche l’insufficienza dell’idea coalizionale se si rimane in superficie e non si affrontano le ragioni dello stare insieme. Io mi batto per un Pd inclusivo e non ho paura di un confronto largo. Ma se la scelta della coalizione resta astratta o confusa, è insufficiente. Per questo dico che occorre rilanciare dallo spirito del Lingotto: aperti e inclusivi guardando agli italiani e alla società, prima che ai soggetti politici».

 

Anche Renzi deve cambiare rotta?

«Renzi condivide questo spirito e stiamo lavorando per costruire le basi del lavoro da fare».

 

I 5 Stelle sembrano aver perso il loro slancio: la loro avanzata è destinata a frenare oppure no?

«Il M5S esce sconfitto da queste elezioni. Alla prova del radicamento territoriale, si sono rivelati fragili e senza bussola. Detto questo, non mi nascondo che i 5 Stelle rappresentano ancora un’insidia molto forte, soprattutto nella rappresentazione del dualismo establishment e anti establishment. E resta insidiosa anche la destra, sia pure a trazione salviniana: quando riesce a organizzarsi con un’offerta elettorale che ha una parvenza di unità, risulta pericolosamente competitiva».

 

 

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