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Gozi: “Ue-Italia, la strada è il partenariato”

“Non condivido l’idea che sia la preoccupazione per il debito pubblico o il sistema bancario italiani a impedire o rallentare gli ulteriori passi avanti nell’integrazione dell’Unione europea monetaria e nell’Unione bancaria, ma condivido l’idea che l’Italia abbia accumulato un grave ritardo sugli investimenti pubblici e privati e che un accordo, che io chiamo di partenariato, fra Roma e Bruxelles possa dare una spinta decisiva a cambiare il modello di sviluppo europeo, superando anche la crisi di fiducia seguita in Europa e nell’area dell’euro alla crisi finanziarla, economica e sociale. Intorno a questo tema dell’accordo di partenariato, che io intendo come un passaggio per una più complessiva riforma della p olitica economica europea dove ripropongo anche l’introduzione della goldenrule per le spese di investimento, è giusto che si sviluppi un importante dibattito”. Sandro Gozi, sottosegretario con le deleghe per le politiche europee, rilancia la proposta contenuta in un paper Sep-Luiss e nell’articolo firmato ieri sul Sole 24 Ore da Carlo Bastasin e Gianni Toniolo, di un accordo fra Italia ed Europa per avviare uno «scambio virtuoso» fra riforme da fare all’interno di un percorso concordato e vigilato da Bruxelles e un piano di investimenti aggiuntivi finanziati con fondi europei.

 

Sottosegretario Gozi, Bastasin e Toniolo parlano di «contratto» fra Italia ed Europa. Perché Lei preferisce il termine partenariato? E una differenza lessicale?

Il «contratto» evoca vincoli eccessivi fra le due parti, mentre penso sia percorribile una forma di intesa più leggera in termini divincoli e controlli ma molto ambiziosa in termini di politiche. L’accordo di partenariato che ho in mente sarebbe il naturale sviluppo della politica perseguita in questi anni dal governo Renzi prima e del governo Gentiloni poi. Avrebbe due obiettivi: completare e intensificare il percorso di riforme su cui l’Italia si è impegnata e si impegna; accompagnare questo percorso con una più adeguata strategia di sostegno europeo agli investimenti, che effettivamente oggi sono il vero problema della politica economia italiana ed europea.

 

Dove sta la continuità con le politiche del governo Renzi?

Il partenariato sarebbe la prosecuzione e l’ampliamento della politica avviata dal governo Renzi con la clausola di flessibilità per le riforme e con la clausola di investimenti. Quella politica, che non era affatto scontata e noi abbiamo ottenuto con una battaglia politica in Europa, verrebbe ampliata e resa strutturale dall’accordo, che dovrebbe avere un carattere pluriennale per superare una serie infinita di “giudizi divini” di Bruxelles ogni sei mesi. Potremmo chiamarlo proprio partenariato per le riforme e per lo sviluppo.

 

Nel piano delle riforme che farebbero parte di questo accordo dovrebbero esserci impegni finalizzati a ridurre il debito?

Non avrei obiezioni se, in un quadro di questo tipo, nel piano nazionale si inserisse anche un impegno importante di dismissione di asset pubblici finalizzati a ridurre il debito e obiettivi di spending review in linea con quelli già perseguiti dall’Italia.

 

Come si inserisce il rilancio della golden rule in questo quadro?

L’istituzionalizzazione della golden rule, che consente lo scorporo delle spese per investimenti dal patto di stabilità, sarebbe il completamento di questo disegno e dovrebbe diventare un elemento di riforma del Fiscal Compact e, come dite opportunamente, del Six Pack. È arrivato il momento per il dibattito sulla riforma delle regole Ue e in particolare del Fiscal Compact anche perché entro la fine del 2017 si dovrà valutare come ha funzionato e decidere se e come inserire anche il Fiscal Compact nei Trattati. È fondamentale che si arrivi prima delle elezioni tedesche con proposte serie e condivise. Inoltre, rilancio l’idea della golden rule perché oggi, dopo il varo del Piano Juncker, è venuta meno anche l’obiezione principale dei “rigoristi”che temevano che con fondi europei si potessero finanziare spese non produttive o spese correnti. Il modello del Piano Juncker comporta una certificazione degli investimenti produttivi e consente di dividere fra spese produttive e improduttive.

 

Lei pensa che possa davvero marciare questa ipotesi dello scambio riforme-investimenti a finanziamento Ue formalizzato in un’intesa?

Lo penso sinceramente e credo che debba avere il segno riformatore di cui dicevamo. Ovviamente non mancheranno le consuete diffidenze, soprattutto fra governi nazionali, che oggi costituiscono il vero ostacolo alla maggiore integrazione europea. Dobbiamo ricreare fiducia reciproca tra noi e rispetto alle istituzioni europee dopo la grave crisi di questi anni e questo può essere un percorso che contribuisce a ritrovare fiducia.

 

Che bilancio fa del 60° anniversario dei Trattati di Roma?

Un bilancio estremamente positivo, con una spinta forte a creare più integrazione su due politiche: la difesa e la protezione sociale. Sulla difesa esistono già alcuni punti su cui Francia, Germania, Italia e Spagna, ma con l’interesse anche di altri Paesi come quelli del Benelux e la Repubblica Ceca, possono trovare un accordo: il fondo europeo per la promozione della ricerca nella difesa, il completamento del mercato unico della difesa, una crescita della interoperabilità fra gli eserciti europei. Quanto alla costruzione di una Unione europea sociale, l’Italia ha svolto un lavoro diplomatico decisivo. Passi avanti sonoora possibili sul sussidio europeo di disoccupazione e sulla garanzia giovani o altri strumenti per combattere la disoccupazione giovanile. È importante anche ridurre discriminazioni e forme di dumping sociale, magari con la previsione di un reddito minimo garantito che innalzi i diritti sociali nei Paesi che oggi stanno più indietro.

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