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Ue, Gozi: il nostro ruolo è centrale ma il Fiscal compact va rivisto

«La nuova versione dell’entente cordiale fra Macron e Merkel è uno sviluppo molto positivo». Veramente la prima edizione dell’entente, anno 1904, fu un accordo tra Francia e Gran Bretagna per il reciproco riconoscimento di sfere d’influenza coloniale. Non sarà un precedente inquietante? «Macché. Intanto entrambi i partner hanno espresso chiaramente l’intento di coinvolgere l’Italia nella nuova politica europea. E poi perché un accordo fra Parigi e Berlino che va in direzione del cambiamento e non dell’immobilismo, è condizione assolutamente necessaria ancorché ancora non sufficiente per rifondare l’Europa. E che l’Europa vada rifondata mi sembra fuor di dubbio». Sandro Gozi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega per l’Europa, conosce personalmente Emmanuel Macron per aver lavorato molti anni a Parigi. E con l’attuale ministra dell’Europa francese, Marielle de Sarnez, ha scritto due anni fa un libro, “L’urgenza europea”, coordinato dal corrispondente a Roma di Liberation Eric Jozsef, che prefigurava molti dei temi oggi in discussione.

 

Se lei dice che l’Europa va riformata in fretta e profondamente, dà ragione al duo Salvini-Di Maio che dicono che «l’Europa è inutile»?

«Non scherziamo. L’Europa “ci protegge” come dice Macron. Moltiplica le opportunità di successo individuale per esempio con l’Erasmus che compie trent’anni, e noi italiani chiediamo che alla mobilità per gli studenti allargata all’apprendistato, al volontariato e allo sport venga destinato molto di più dell’attuale 1% del bilancio europeo. Favorisce gli investimenti delle imprese, e per questo stiamo lavorando per ampliare e rafforzare il piano Juncker di cui pure le aziende italiane hanno beneficiato per oltre 20 miliardi ed eventualmente affiancargli un ulteriore strumento di investimenti stavolta riservato all’Eurozona. Ancora: l’Europa difende i diritti fondamentali, promuove l’integrazione e l’inclusione, la democrazia, la civiltà. Servono l’incompetenza e l’improvvisazione delle forze politiche che lei citava, alleate di antieuropei come Farage e Le Pen, per sostenere che bisogna liberarsene. Certo, dobbiamo salvare l’Europa da chi vuole distruggerla ma anche riconoscere gli errori sono stati compiuti. Per salvare l’Europa dobbiamo cambiarla».

 

Dov’è che bisogna fare autocritica?

«Beh, non ci stancheremo di pronunciarci contro gli eccessi dell’austerity. E dei comportamenti perversi indotti che questa ha comportato. Penso all’accettazione acritica di questa dottrina autolesionistica da parte di recenti governi italiani, diciamo prima che cominciasse l’attuale stagione a guida Pd. Adesso, appunto per rifondare l’Europa, dobbiamo ridiscutere le scelte fatte durante la crisi. Noi siamo contrari per esempio a inserire il Fiscal Compact nei trattati e vogliamo aprire un nuovo dibattito su alcune regole che riteniamo superate o sbagliate come il percorso accelerato di riduzione del debito fino al 60% del Pil a scapito di crescita e occupazione. Noi offriamo una visione radicalmente alternativa. Allo stesso tempo sappiamo bene che l’opera di trasformazione dell’Italia va proseguita con coraggio e che il cammino delle riforme non va interrotto».

 

Proprio sulla finanza pubblica e sull’atteggiamento eccessivamente punitivo di Bruxelles si concentrano le critiche: oggi vengono da Lega e M5S ma anche Renzi non è stato tenero.

«Certo, ma su questo sono sicuro che incontreremo la cooperazione di Macron e anche della Merkel, che potrebbe uscire rafforzata politicamente dalle elezioni di settembre. Dobbiamo uscire dalla logica delle verifiche trimestrali imperniate sullo “zero virgola” di scostamento, e accordarci su programmi di riforme e investimenti nazionali da attuare per esempio in 3-5 anni, sostenuti e incoraggiati da nuove politiche europee. Il tutto lungo un percorso virtuoso di crescita più solida e riduzione sostenibile e graduale del debito».

 

C’è un altro punto dolente per l’Europa, quello dell’immigrazione. La settimana scorsa il cosiddetto gruppo di Visegrad Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia, Slovacchia ha battuto i pugni sul tavolo dicendo che non ne vuol sapere degli accordi sulla redistribuzione. Cosa rispondete?

«Senza contare gli aspetti etici della questione, che è ora di sanzionare e di escludere dai progetti di finanziamento comunitario chi non sta ai patti e viola lo stato di diritto. La solidarietà europea va intesa nei due sensi».

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