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Direzione Nazionale PD: l’intervento di Chiara Braga

Direzione Nazionale PD del 4 aprile 2016

“Concentrerò il mio intervento solo su un punto della nostra discussione, non difficile da immaginare.
Ma parto da Gramsci; in una lettera al figlio Delio, Gramsci riflette su come sia difficilestar seduto dinanzi a un tavolino per mettere in ordine i pensieri piuttosto che scrivere all’ultimo momento, in fretta.

Non è mai troppo tardi.

Per quanto mi riguarda ho cercato di studiare, ho provato a essere un operaio della politica, ho scritto un documento che analizza la normativa suprospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e stoccaggio sotterraneo di gas naturale.
Perché il tema si chiama così, non si chiama “trivelle” come lo chiamano invece gli ineffabili autori di un manifesto sessista e volgare dedicato alla rima “trivella-sorella” che è circolato tra i favorevoli al referendum.
Ho scritto un documento, l’ho trasmesso ai molti colleghi, ai nostri dirigenti e iscritti con cui in questi giorni ho parlato di questo complesso tema; lo metto a disposizione della nostra discussione.

Molti hanno chiesto: “il PD informi i cittadini sul referendum”.
Informare vuol dire raccontare le cose per quel che sono, stando al merito della questione. Questo referendum non è sulla difesa dell’ambiente né sulla politica energetica; non è un referendum tra chi è a favore all’uso del petrolio da qui all’eternità e chi invece pensa di poter vivere solocon l’energia elettrica che produce con il pannello solare che ha sul tetto di casa.
La realtà è, come sempre, più complessa:
LaLegge di stabilità 2016 ha rimosso le criticità che di fatto stavano alla base della mobilitazione referendaria delle Regioni;
è stato riaffermato il principio di “leale collaborazione” che coinvolge le Regioni nei procedimenti di autorizzazione e anche di superamento di eventuali divergenze.
Ci sono poi tutte quelle norme che, grazie al lavoro del PD in Parlamento, assicurano maggiori garanzie ambientali nel rilascio di nuove autorizzazioni e rendono il nostro Paese il più sicuro a livello europeo:verifica della solidità economica di chi fa gli interventi, valutazione ambientale complessiva dell’impianto, garanzie economiche per coprire eventuali danni ambientali.
E’ stata cancellata definitivamente la possibilità di nuove prospezioni nelle aree marine protette e nel raggio delle 12 miglia, anche per quanto riguarda i procedimenti in corso.
E infatti laCorte di Cassazione ha stabilito che non hanno più corso cinque su sei delle richieste direferendum:il quesito del 17 aprile riguarda soltanto la durata delle concessioni in corso nel raggio delle 12 miglia.
Soltanto questo, non nuove concessioni né gli impianti esistenti oltre questa distanza e sulla terraferma, sui quali il referendum non ha nessun effetto.
Stiamo parlando di concessioni per oltre la metà in scadenza nei prossimi 4 anni, da cui si estrae nella quasi totalità gas naturale; è del tutto ragionevole che questi impianti si utilizzino nel modo più efficiente, mantenendo i posti di lavoro e con le massime garanzie di sicurezza e tutela ambientale.
Vorrei ricordare che l‘ultimo incidente degli impianti in mare in Italia risale al 1965.
Il referendum non è uno scontro tra chi è a favore del petrolio e chi è a favore delle rinnovabili e non ha nessun impatto immediatosull’obiettivo di una transizione energetica orientata alla sostenibilità ambientale.
Se vince il sì non spunteranno come funghi il giorno dopo nuovi impianti di energia rinnovabile es. impianti di biometano – sempre che poi si riescano a fare! o non spunti invece, come spesso accade, qualche nuovo comitato contro, a prescindere.
Non è certo con questo referendum che si cambierà la strategia energetica del Paese, sulla quale è invece necessario riaprire seriamente e rapidamente la discussione, perché abbiamo davanti a degli impegni seri – quelli sì che lo sono – che ci derivano dall’Energy Union, dal Pacchetto Clima-Energia 2030 e dall’Accordo di Parigi sul Clima dello scorso dicembre. La transizione energetica verso un modello più sostenibile è già in corso; l’Italia e l’Europa ne sono parte attiva; abbiamo il secondo miglior risultato europeo in termini di produzione di energia rinnovabile, ma ancora non basta; abbiamo dei campioni in questo campo – e magari chiediamo a Enel Green Power di realizzare anche in Italia investimenti all’avanguardia come quelli del Nevada.

Ho sentito alcuni parlamentari cinquestelle dichiarare con quell’aria di convinzione totale che fa sembrare vero quello che dicono, che se vincerà il SI finalmente si potrà sviluppare il turismo.
Le decine di milioni di turisti che da sempre hanno scelto le coste dell’Adriatico forse sono fantasmi.

Noi siamo quelli seri, per piacere cerchiamo di ricordarcene sempre, ci fa bene.

Ho grande rispetto per la mobilitazione delle Regioni, per i nostri presidenti di regione e consiglieri regionali che hanno promosso 6 quesiti referendari – 5 dei quali poi superati dalla legge di stabilità – domando a me stessa e anche a loro, in tutta onestà intellettuale, se mai avrebbero promosso un referendum avente per oggetto solo questo quesito. Io penso di no. Conosco quei territori, le bellezze straordinarie delle coste e del mare, il bisogno di creare occupazione per trattenere lì le energie migliori che ci sono, a partire dai giovani, facendo dell’ambiente e della qualità del paesaggio veri fattori di sviluppo.

Ma mi domando: siamo certi che il problema siano quei 21 impianti di ricerca di gas toccati da questo referendum, nessuno dei quali in Puglia, Basilicata, Campania, Liguria e non magari l’assenza di depuratori, di fognature efficienti, di rete idrica capace di garantire davvero il diritto all’acqua a tutti i cittadini, di impianti per chiudere emergenze ventennali nella gestione dei rifiuti, strade e paesi che non franino sotto il peso dell’abusivismo e dal dissesto idrogeologico per mancanza di investimenti, quando ci sono nei cassetti delle amministrazioni pubbliche più di 2 miliardi di euro non spesi per fare questi investimenti necessari e urgenti?
La sfida vera è questa; voglio credere che la stessa passione la metteremo, anche con i nostri governatori e amministratori regionali, nel fare queste cose, perché il valore dell’ambiente non è un ritornello che va bene ogni tanto, quando non ci costa fatica o quando magari è utile per “dare un segnale”, ma una parte essenziale della nostra visione di futuro.
Vorrei che fossimo il partito di coloro che alzano la testa per guardare lontano, non per annusare il vento.

Non è una posizione neutra o agnostica quella dell’astensione: è una scelta politica costituzionalmente fondata; di fronte a un quesito referendario fuorviante e non utile, che si sta caricando di significati totalmente impropri, i cittadini hanno il diritto di manifestare il proprio dissenso con l’astensione, che non riguarda solo il merito ma anche l’uso dello strumento del referendum.
Non è un caso che in Assemblea Costituente ci sia stata una intensa discussione sulla misura del quorum del referendum abrogativo.
Si propose di fissare il quorum al 60%, l’Assemblea decise per il 50% ma la logica era quella e rimane quella.
Di serietà tecnica e di utilità concreta per i cittadini. Che qui non c’è.

Certo, per fare politica bisogna studiare, approfondire, lavorare da operai del bene comune.
Potevamo farlo meglio, rispetto all’incombere dei referendum e rispetto al quesito rimasto?
Forse sì.
A chi ha incarichi di governo credo sia lecito chiedere una riflessione sulla qualità del lavoro tecnico espresso in questa occasione.

Sono stata relatrice alla Camera dello Sblocca Italia, non si tratta di battaglie di eroi solitari, ho condiviso con il mio gruppo parlamentare un grande lavoro per migliorare la proposta iniziale del Governo su questo tema.

Mi stupisce profondamente che alcuni colleghi parlamentari dichiarino che voteranno SI ad un referendum che cancella una norma che – tutti insieme, come PD – abbiamo votato, mentre in molti casi non spendono nemmeno una parola sui risultati che – tutti insieme – abbiamo ottenuto in Parlamento in quest’ultima legge di stabilità.

A chi ogni giorno ci fa lezioni di ambientalismo, ma soprattutto, vi prego, a noi stessi ricordiamo che siamo stati noi, il PD in questo Parlamento e in questo Governo, che abbiamo approvato la legge sugli ecoreati (sull’indagine di Potenza se i magistrati potranno fare fino in fondo e meglio il loro lavoro è perché abbiamo inserito il reato di disastro ambientale nel codice penale, con la legge sugli ecoreati), che stiamo riformando il sistema delle agenzie ambientali con la legge che è al via libera definitivo al Senato, che abbiamo raccolto il testimone di Expo con una legge contro lo spreco alimentare, che stiamo discutendo alla Camera grazie al lavoro dei deputati PD una legge sull’acqua che non tradisce nessun referendum ma al contrario vuole garantire, nei fatti, a tutti i cittadini il diritto ad avere un’acqua di qualità e a un costo equo, facendo gli investimenti che servono, tutelando proprio le fasce più deboli con il quantitativo minimo vitale, la bolletta trasparente, la tutela della morosità incolpevole.

Quello che posso dire in positivo è che sul tema dell’ambiente, affrontato con serietà e concretezza, nel partito, nei gruppi parlamentari, nella nostra grande comunità, ci sono competenze, intelligenze, energie da mettere in moto.
A maggio Simona Bonafè presenterà da relatrice al Parlamento Europeo la proposta sull’economia circolare; parliamo di uso efficiente delle risorse, meno rifiuti, una sfida per i cittadini, le istituzioni, le imprese.
Il 22 aprile, con una cerimonia di Capi di stato e di governo, si aprirà l’Accordo di Parigi sul clima alla firma degli Stati; l’Italia ci sarà, rappresentata dal Presidente del Consiglio.

Ecco, io penso che possiamo e dobbiamo guardare avanti, molto oltre il 17 aprile”.

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