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Veltroni: recuperiamo la certezza che i nostri figli possano vivere meglio di noi

Una sinistra così innovativa da aver perso una sua identità?

«Il Pd nacque anche per evitare che la sinistra italiana facesse la fine dei socialisti greci o francesi. Serviva a non limitarsi alla conquista del consenso in casa propria, ma senza perdere un incardinamento identitario forte. Una forza innovativa, non un indistinto. Non minoritaria, ma di sinistra».

 

II Pd non è più di sinistra?

«L’idea che entusiasmò tanti giovani stava nella costruzione di un soggetto che non voleva essere né l’ampliamento dei Ds, come qualcuno ha preteso poi di fare, né la prosecuzione della Margherita, come invece sembra essere oggi».

 

I risultati dicono che la sinistra non attrae voti altrui e intanto perde i propri.

«I dati elettorali vanno presi nella loro essenzialità. L’errore peggiore oggi sarebbe quello di aggrapparsi a giustificazioni e confronti del genere “ma abbiamo un avanzamento sui risultati del 1968”. Il problema più drammatico si chiama astensione. Abbiamo sindaci eletti con il sostegno del 20 per cento del corpo elettorale. Milioni di cittadini che non sono andati a votare e tra questi una grande parte di elettori di centrosinistra».

 

Eppure in tante città la sinistra si presentava unita in coalizione, come chiedono molti critici di Renzi.

«Le coalizioni funzionano se sono vere. Se sembrano costrizioni hanno poca forza espansiva. Invece di discutere di equilibri e assetti, bisognerebbe andare a cercare gli scontenti e gli astenuti uno per uno, casa per casa e bisognerebbe unirsi su un programma di riformismo davvero radicale socialmente. Perche un altro errore sarebbe pensare che li si recupera tornando a una offerta di sinistra tradizionale».

 

La leadership di Renzi era stata letta come l’inveramento dei principi del Lingotto.

«A Renzi ho sempre riconosciuto che la sua ispirazione di fondo somigliava a quella del Lingotto. Ma ora, e gliel’ho detto con sincerità, faccia a faccia, gli consiglio di cambiare passo, serve una nuova stagione. Resta una grande risorsa e non possiamo permetterci di aprire una fase di discussione sulla leadership, ma questo comporta che la leadership mostri la sua dimensione programmatica e che dimostri di aver capito che questa è la fase dell’inclusione».

 

Renzi non ne vuol sapere degli scissionisti.

«Andai all’assemblea nazionale del Pd perché sentivo che la scissione sarebbe stata foriera di guai. Per chi se ne è andato, e ha sbagliato a farlo, e per chi forse non ha fatto tutto il possibile per evitarlo. Le mie parole furono molto applaudite, ma evidentemente non tutti quelli che applaudivano erano d’accordo».

 

Dieci anni fa lei disse che il Pd nasceva per i “nuovi italiani”. Abbiamo imparato a chiamarli millennials: sembrano i più distanti dalla sinistra.

«Si è rotto qualcosa tra la democrazia e i giovani. Parte degli astenuti sono ragazzi che pensano la politica come orrore o strumento inutile. Dissi allora che la priorità per la sinistra moderna era la lotta alla precarietà. Lo penso ancora».

 

Il Pd ha trascorso anni a battagliare contro il M5S. Salvo scoprire poi che il vero avversario è, parole dell’altra notte, “la destra a trazione leghista”.

«Una grande forza riformista non dovrebbe mai proporsi “contro”, ma sempre “per”. Con l’anti-politica di chi non vota più perché non ti ritiene capace di produrre nuova politica, occorre saper ritrovare un dialogo. Ma serve pure contrastare con la necessaria durezza e non è stato fatto le campagne qualunquistiche contro la politica, perché sono regressive. Se perdi la bussola del cammino, gli eventi ti travolgono. L’alternatività alla destra deve essere fatta sentire. Sempre. Trump ci ricorda quanto sciocco sia pensare che i confini destra-sinistra siano obsoleti su ambiente, lavoro, sanità».

 

La stagione renziana è cominciata con la rottamazione del vecchio gruppo dirigente. Rischia di finire con la rottamazione di una intera area.

«Il primo a usare l’espressione fu Berlusconi. “Lei era stato rottamato, è stato richiamato”, disse a Prodi durante un duello tv. Si rottamano le carcasse di auto, non le persone. Altro conto è il rinnovamento, la selezione non sulla base delle appartenenze correntizie. Mi dimisi da segretario del Pd non certo per la sconfitta alle elezioni sarde, ma contro la logica del correntismo. Quando il Circo Massimo si riempì in quel modo fantastico molti dirigenti sembravano infastiditi. La situazione non è molto migliorata. Vedo troppi capicorrente e capibastone che danno le carte e giocano al “taglia fuori”».

 

Chi non vuole una coalizione plurale di centrosinistra si appella alla vocazione maggioritaria del suo Pd.

«Attenzione, al Lingotto dicemmo: vocazione maggioritaria ma non autosufficienza. Mi auguro che sia possibile costruire un campo largo. Per questo il mio appello a Pisapia è evitare che la soluzione del suo agire sia la nascita di una forza antitetica al Pd. Ci faremmo del male».

 

La legge elettorale non favorisce questa soluzione.

«Il mio modello è sempre stato il sistema francese. Ma nelle condizione date mi batterei per una legge elettorale che introduca un premio di coalizione al 40 per cento e permetta di individuare un vincitore chiaro che dal giorno dopo garantisca stabilità e riforme al Paese».

 

Intanto è in carica un governo di cui è perno il Pd. Può contribuire a invertire la tendenza?

«Sulla sicurezza sta facendo bene, in equilibrio tra integrazione multiculturale e garanzia dei cittadini, tutti. Ora faccia due o tre cose importanti contro precarietà e disuguaglianza».

 

La destra dice di aver vinto anche raccogliendo l’ostilità allo Ius soli. Teme che la riforma possa saltare?

«Spero di no. Perderemmo ancora più consenso. Non bisogna aver paura del riformismo».

 

II Pd può ripartire o è vicino al capolinea?

«La sinistra ha vissuto a lungo di automatismi, fondati su una società ordinata in classi sociali rigide. In questa gigantesca fluidità sociale di oggi, non ha trovato elementi ideali che parlassero trasversalmente ai nuovi bisogni di sicurezza e protezione. Mio padre è morto a 37 anni di una malattia oggi curabile, mio nonno fu torturato dai nazisti a via Tasso. Io non ho diritto di dirmi più infelice di loro, eppure quelle generazioni avevano la certezza che i loro figli avrebbero vissuto meglio di loro. Questa certezza si è persa. Recuperarla, per la sinistra, è la priorità assoluta».

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