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60° anniversario Trattati di RomaGentiloni: l’Unione riparte, ritroviamo il coraggio dei padri

“25 marzo 1957, 25 marzo 2017. Un viaggio lungo sessant’anni. Un viaggio

di conquiste. Un viaggio di speranze realizzate e di speranze ancora da
esaudire.
Il viaggio dell’Unione era iniziato ancora prima, quando la nostra patria
europea aveva smarrito se stessa.
Alla fine della seconda guerra mondiale, l’Europa era ridotta a un cumulo
di macerie. Milioni di europei morti. Milioni di europei rifugiati o senza
casa. Un continente che poteva contare su almeno 2500 anni di storia,
ritornato di colpo all’anno zero.
Prima ancora che la guerra finisse, reclusi in una piccola isola del
Mediterraneo, due uomini, Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, assieme ad
altri, sognavano un futuro diverso. Un futuro senza guerre. Un futuro
prospero. Un futuro di pace.

Su quello slancio ideale, finita la guerra, le nazioni d’Europa avviarono un
cammino di ricostruzione, materiale e spirituale. Non tutte sarebbero
andate incontro allo stesso destino. Per decine di milioni di europei
sarebbero arrivati lunghi anni di oppressione. Le nostre strade sarebbero
rimaste separate per molto tempo ancora.
In quella Europa divisa, statisti come Adenauer, De Gasperi, Monnet,
Schuman, Spaak e altri iniziarono a costruire un’Unione di pace e di
progresso.
Venivano da paesi diversi, parlavano lingue diverse, non la pensavano allo
stesso modo su tutto. Ma tutti erano accomunati da una stessa splendida
ossessione: non dividere, ma unire, non schierarsi gli uni contro gli altri
per il male di tutti, ma cooperare insieme per il bene di ciascuno.
In fondo, si ritrovarono a compiere la scelta più antica che l’umanità
ciclicamente è chiamata a rinnovare. La scelta tra il bene e il male.
Dopo aver scelto, con due guerre mondiali, il male, gli Europei scelsero il
bene: riunire i popoli in un viaggio comune, per ricacciare indietro i
demoni dei nazionalismi.

Lo sapevano bene i fondatori dell’Europa unita. Lo sapeva bene Alcide De
Gasperi, che chiese ai suoi contemporanei: “Se volete che un mito ci sia, ditemi un po’ quale mito dobbiamo dare alla nostra gioventù per quanto riguarda […] l’avvenire del mondo, la sicurezza, la pace, se non questo sforzo verso l’Unione?”.
Noi oggi, qui riuniti, celebriamo dunque la tenacia e l’intelligenza dei
nostri padri fondatori europei.
E la prova visiva e incontestabile del successo di quella coraggiosa scelta
la offre il colpo d’occhio di questa sala: eravamo 6 sessant’anni fa, siamo
27 oggi.
Appartengo a una generazione nata proprio in quegli anni. E non riesco a
sfuggire al paragone con la generazione di chi firmò quei Trattati.
Loro avevano conosciuto due guerre, la dittatura e spesso il carcere, le
distruzioni e le divisioni dell’Europa.
Noi abbiamo vissuto 60 anni in pace e libertà.

Dai Trattati di Roma siamo stati capaci di arrivare a un vero e vasto
mercato unico europeo. Siamo diventati il più ampio spazio commerciale
al mondo e, insieme, la terra dei diritti sociali.
Nel frattempo, il mondo cambiava e continuava a cambiare anche
l’Europa. Negli anni Settanta, Spagna, Portogallo e Grecia uscivano dalle
dittature. E l’Europa sempre più unita nel nome della libertà e della
democrazia, l’Europa che qualcuno ha definito la “superpotenza
tranquilla”, agiva come un potente magnete d’attrazione.
Degli anni Ottanta serbiamo immagini indelebili. Kohl e Mitterand che nel
1984 si tengono per mano a Verdun, per rendere omaggio ai caduti
tedeschi e francesi di una delle più sanguinose battaglie della storia.
Pochi anni dopo, nell’agosto del 1989, quel semplice gesto del tenersi per
mano fu ripetuto da quasi due milioni di baltici, formando una catena
umana di centinaia di chilometri che attraversava Tallin, Riga e Vilnius.
E poi il 9 novembre di quello stesso anno, il crollo del Muro, la sensazione
che quel sogno maturato negli anni della guerra si fosse finalmente
avverato con la fine della divisione dell’Europa.

Il mondo è poi cambiato. La globalizzazione coi suoi effetti positivi e i suoi
complessi squilibri, le minacce del terrorismo internazionale, la più grave
crisi economica dal dopoguerra, i grandi flussi migratori e un ordine
mondiale più instabile ci hanno dimostrato che la storia è tutt’altro che
finita.
All’appuntamento con questo mondo cambiato, l’Europa si è presentata
con troppi ritardi. Sull’immigrazione, la sicurezza, la crescita, il lavoro.
Non possiamo – ammoniva Jean Monnet – “fermarci quando attorno a
noi il mondo intero è in movimento”.
Purtroppo lo abbiamo fatto. Ci siamo fermati. E questo ha provocato una
crisi di rigetto in una parte della nostra opinione pubblica, addirittura
maggioritaria nel Regno Unito.
Ha fatto riaffiorare chiusure nazionalistiche che pensavamo consegnate
agli archivi della storia.
Ecco il vero messaggio che deve venire dalle celebrazioni di oggi.
Abbiamo imparato la lezione: l’Unione riparte. E ha un orizzonte per farlo
nei prossimi dieci anni.

Abbiamo la forza per ripartire perché è la nostra stessa storia a offrircela.
“È probabilmente un privilegio dell’Europa – ha scritto il filosofo tedesco
Hans Georg Gadamer – il fatto di aver saputo e dovuto imparare, più di
altri paesi, a convivere con la diversità”.
Abbiamo la forza del libero scambio, che ha assicurato decenni di
benessere al nostro continente.
Abbiamo la forza della nostre leggi, della società aperta, della democrazia,
della libertà.
Abbiamo la forza di dare valore ai diritti umani.
Per ridare spinta al progetto dell’Unione dobbiamo anzitutto restituire
fiducia ai nostri concittadini.
Crescita, investimenti, riduzione delle disuguaglianze, lotta alla povertà.
Politiche migratorie comuni.
Impegno per la sicurezza e la difesa.
Ecco gli ingredienti per restituire fiducia.

Serve il coraggio di voltare pagina, abbandonando una visione della
nostra economia affidata a piccole logiche di contabilità, talvolta
arbitrarie.
Il coraggio di procedere con cooperazioni rafforzate, dove è necessario e
quando è possibile.
E soprattutto il coraggio di mettere al centro i nostri valori comuni.
Parlo dei valori che ci fanno sentire tutti colpiti quando il Parlamento
Britannico è sotto attacco.
Che ci fanno gioire quando riapre i battenti il Bataclan.
Che ci fanno essere orgogliosi delle donne e degli uomini di
quell’avamposto europeo della civiltà che è Lampedusa.
Colleghi, non vi nascondo la mia emozione nel partecipare a questo
appuntamento.
Per concordare la Dichiarazione che firmeremo oggi, tutti abbiamo
rinunciato a qualcosa in nome dell’interesse comune.
È lo spirito giusto per ripartire.

Senza assurde divisioni tra est ed ovest, nord e sud, grandi e piccoli paesi.
Ripartire per ridare fiducia ai nostri concittadini.
Grazie per la vostra partecipazione e per il lavoro fatto fino a oggi e lunga
vita alla nostra Unione Europea.

 

La dichiarazione di Roma 25 marzo 2017

Dichiarazione dei leader dei 27 Stati membri e del Consiglio europeo, del Parlamento europeo e della Commissione europea

 

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