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Delrio: ho chiesto io aiuto per Banca Etruria, era mio dovere

«Sono Graziano Delrio. Le volevo dire che sono io l’autore della telefonata alla Popolare dell’Emilia Romagna». L’attuale ministro delle Infrastrutture rivendica il suo interesse per la vicenda di Etruria, rivelato ieri da II Secolo XIX e La Stampa. «Non ho nulla da nascondere. Mi sono occupato di Banca Etruria come mi sono occupato di Ilva, di Alitalia e tante altre crisi che rischiavano di avere impatti occupazionali, industriali o, come nel caso di Etruria, per i risparmiatori», spiega al telefono. Riavvolgiamo il nastro. Siamo nelle settimane a cavallo tra il 2014 e il 2015 e il tema delle crisi bancarie non è ancora deflagrato in tutta la sua ampiezza. Banca Etruria però è uno di quegli istituti da tempo in difficoltà: nel 2013 Bankitalia aveva chiesto un rafforzamento patrimoniale, nel 2014 il ricambio del consiglio e una aggregazione con un soggetto «di elevato standing», ovvero un’altra banca solida e credibile.

Delrio è il sottosegretario alla presidenza del consiglio e, in questa veste, il primo dell’anno del 2015 chiama Ettore Caselli, allora presidente della Popolare dell’Emilia Romagna, per chiedere informazioni sulla possibile acquisizione di Etruria da parte della banca che ha sede a Modena.

È andata così ministro, è corretto?

«Sono certamente uno di quelli che aveva sul tavolo tutte le crisi aziendali. Il mio ruolo all’epoca, come sottosegretario alla presidenza del consiglio, era quello di accompagnare i ministri competenti nella gestione di queste crisi. In questa veste, ho chiamato Caselli e ho chiesto informazioni sulle intenzioni di Bper per Etruria. La risposta fu che era stata esaminata ma Bper aveva deciso di non andare avanti. Tutto qua. Per questo credo di essere io quello al quale si fa riferimento nell’articolo di ieri. Io certamente la telefonata l’ho fatta anche se è possibile che anche altri nel governo se ne siano interessati».

No, le confermo che è proprio lei quello del quale parla l’articolo. Rientrava nella sua attività istituzionale? Non ci fu nessuna pressione?

«Nessuna pressione, come del resto le ha già detto Caselli, ma una semplice richiesta d’informazioni. Come ho già spiegato il sottosegretario alla presidenza ha un ruolo di accompagnamento dei ministri competenti. Ho fatto quella telefonata come ne ho fatte tante altri per altri casi di crisi».

Etruria però non è Ilva né Alcoa. In quei giorni era solo una piccola banca territoriale in difficoltà e in cerca di un compratore. Verrà commissariata solo un mese e mezzo dopo. Rientrava comunque tra i suoi compiti occuparsene?

«Sì. Le ricordo tra l’altro che il governo in quei giorni stava preparando il decreto sulle popolari. C’erano già stati vari incontri a Palazzo Chigi e Bankitalia aveva segnalato più volte al governo i problemi di alcune popolari. Problemi che poi, come abbiamo visto, sarebbero esplosi con effetti pesanti per i risparmiatori. Il governo se n’era occupato per questo, senza ossessioni particolari per Etruria».

La differenza però è che in quel governo c’era un ministro, Maria Elena Boschi, che proprio su Banca Etruria aveva un conflitto d’interesse dato dalla presenza del padre nel consiglio della banca. Tutto normale?

«Lo ripeto ancora una volta: mi sono occupato del problema con i ministri competenti e la Boschi non era tra i ministri competenti. Per quanto mi riguarda, non mi vergogno di essermi occupato di questa vicenda come non mi vergogno di essermi occupato di tutte le altre crisi che ho esaminato in quel periodo».

Sta di fatto che ne stiamo ancora parlando proprio per il ruolo della Boschi, allora ministro delle riforme e oggi nel posto che occupava lei, sottosegretaria alla presidenza del Consiglio. Nessun conflitto d’interessi?

«Credo che su questo abbia già risposto la Boschi. Per quanto mi riguarda questo è quanto accaduto. In quel periodo per 24 ore al giorno mi occupavo di crisi aziendali, ben più grandi di questa. Non c’è niente da nascondere».

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