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Guerini: «Sulle riforme nessuno stop»

Ad un mese esatto dalla caduta del governo Renzi, sembra avanzare la voglia di riavvolgere il nastro. Quel nastro. Prima l’ansia del cambiamento a tutti i costi, ora pian piano, l’ansia opposta di resettare quanto fatto. E se cresce la voglia di tornare al proporzionale nei partiti, al governo si lavora subito per gli aggiustamenti. Alla Buona scuola e al Jobs Act, forse per recuperare i voti pd persi. Magari quelli più a sinistra. «Una cosa è intervenire sui dettagli, un’altra è mettere in discussione tutto», premette subito Lorenzo Guerini, vicesegretario nazionale pd rispetto al lavoro fatto dal governo Renzi in mille giorni. E avverte anche chi nel suo stesso partito vorrebbe rimettere indietro le lancette dell’orologio: «È sbagliato pensare che il voto del 4 dicembre abbia chiuso la stagione riformatrice di cui il Paese ha ancora assolutamente bisogno. Indietro non si può andare. E non servirebbe».

 

Il voto di dicembre appare oggi uno spartiacque tra una voglia di cambiamento e l’idea, ora, di mettere in discussione alcuni capisaldi delle riforme targate Renzi.

«Mi sembra un’interpretazione sbagliata del voto che, ricordiamolo, era solo sulla riforma istituzionale. Dentro questo voto ci possono essere anche altre ragioni da analizzare ma interpretarlo come una spinta a chiudere una stagione riformatrice mi sembra assolutamente sbagliato. Se il Paese si è mosso in questi 3 armi è proprio per il coraggio messo in campo da Matteo Renzi e da tutto il governo. Interrompere o tornare al passato sarebbe dannoso per il Paese ma anche sbagliato per il Pd che è stato pensato dai suoi fondatori come un partito della sinistra capace di cogliere le sfide del governo con una necessaria impronta riformatrice e non con l’idea di un partito che cede alla tentazione di ancorarsi in porti sicuri per ricavarne illusorie rendite elettorali. Quest’ultima strategia sì sarebbe la vera sconfitta».

 

Non negherà come alla vittoria del Sì su cui l’ex premier aveva puntato tutto sono mancati i voti del suo partito. Della base, soprattutto.

«Tutti i dati degli istituti di ricerca hanno stimato come le adesioni del popolo del Pd al Sì sono state attorno oltre 1’80 per cento. Vuol dire che la base e gli elettori hanno sostenuto e condiviso il progetto. Dopodiché c’è stata una quota minoritaria che ha deciso di votare No anche perché alcuni dirigenti si sono posizionati su questa linea».

 

Però i giovani, il futuro, l’area su cui si era scommesso, quindi, ha rinunciato alla sfida che avevate proposto.

«Che in maggioranza giovani abbiano votato No è innegabile».

 

Non avete saputo parlarci…

«Hanno un disagio nell’immaginare il loro futuro. Perché per la prima volta, dopo decenni, anziché essere più o meno certi di vivere in modo migliore delle generazioni precedenti hanno al contrario la preoccupazione di non raggiungere gli stessi standard qualitativi di vita dei loro padri. Questa generazione ha incognite in più e ciò si è manifestato anche nel voto del 4 dicembre. C’è un tema di linguaggio e di prospettiva sul futuro che forse avremmo dovuto declinare meglio. Ed è un paradosso che ciò non sia avvenuto in presenza di politiche che hanno lavorato molto sul cambiamento. È un fatto con cui ci dobbiamo confrontare…».

 

Prendiamo un caposaldo come la Buona scuola. Andata via la Giannini, la neo ministra Fedeli ha fatto cadere l’obbligo triennale per i precari di accettare l’assegnazione di una cattedra laddove c’è domanda.

«Non entro nel merito ma il ministro dell’Istruzione ha ritenuto con quest’iniziativa di affrontare alcuni nodi relativi all’assegnazione dei docenti. Ma, attenzione, mantenendo fermo l’intero impianto che io reputo sicuramente buono. Non si sta mettendo in discussione una legge che ha consentito di dare una cattedra sicura centomila insegnanti precari ma si sta solo procedendo dopo qualche mese ad alcuni aggiustamenti. Lo trovo normale».

 

Lo stesso potrebbe accadere con un altro capisaldo renziano: il jobs act.

«Il governo Renzi ha perseguito un unico obiettivo: favorire il lavoro stabile e disboscare la giungla dei diversi tipi di contratto di lavoro. Che la strada fosse quella giusta lo dimostrano gli ultimi dati diffusi la scorsa settimana che indicano un saldo positivo, tra 2015 e 2016, di 543mila posti in più. La gran parte stabili. Bisogna partire da qui, dagli obiettivi raggiunti e da quello che ancora occorre fare in tema di politiche attive del lavoro, ammortizzatori e di eventuali correzioni su aspetti specifici».

 

Del tipo?

«Prenda la questione dei voucher su cui in questi giorni si sta molto enfatizzando. Una forma di lavoro che non c’entra nulla con il Jobs act, entrata in vigore nel 2003 e la cui platea è stata, via via, allargata nel corso degli armi ma mai da noi. Noi, anzi, siamo intervenuti solo introdurne la tracciabilità, per darne un indirizzo corretto e contrastarne gli abusi. Se c’è l’esigenza di delimitare gli ambiti di applicabilità va fatto e sono d’accordo ma occorre avere l’accortezza di non sovrapporre strumentalmente quest aspetto a tutto l’impianto del Jobs Act con cui non c’entra nulla. Sarebbe scorretto».

 

Alle porte c’è proprio un referendum su questo tema promosso dalla Cgil: non teme spaccature nuove e pericolose nel suo partito anche in quest’occasione?

«Innanzitutto si deve pronunciare la Consulta e vedremo quali saranno i quesiti accolti. L’impianto della legge sul lavoro è buono, ha dato un’importante spinta alla creazione di posti di lavoro di qualità e stabili».

 

Vedremo ma per ora il voto referendario sembra aver portato anche una voglia di sistema proporzionale nei partiti. Prima tanto vituperato, Il Jobs act ora paradossalnente accarezzato dalla maggior parte delle forze politiche.

«Dopo il voto del 4 dicembre il Pd ha proposto a tutte le forze politiche di aprire un confronto sulla modifica della legge elettorale. Noi abbiamo avanzato la proposta di tornare al Mattarellum che, attraverso i collegi, avvicina eletti ed elettori. Attendiamo uguale serietà e responsabilità dagli altri partiti. Lo dobbiamo innanzitutto ai cittadini italiani e anche per rispettare l’auspicio che il presidente Mattarella ha rivolto alle forze politiche nel messaggio di fine anno. Chiediamo solo agli altri partiti se ci stanno a discutere in tempi rapidi o vogliono semplicemente perdere tempo e usare la legge elettorale come strumento per allontanare il voto».

 

Nel frattempo il Pd è fermo dall’assemblea di metà dicembre.

«Nei prossimi giorni Renzi metterà mano alla segreteria per rafforzare il partito sul territorio e lavoreremo molto sulle proposte che faremo al Paese anche in relazione alle domande di una società che è profondamente cambiata».

 

Ma Renzi doveva incarnare il cambiamento.

«Lo ha fatto e continuerà a farlo».

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