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Vacca: “Gramsci non so, ma Ulivo e Pd sono sempre stati per le riforme”

Il dibattito sulla riforma costituzionale è stato segnato negli ultimi giorni dalle polemiche sull’uso della memoria, dell’immagine e delle passate dichiarazioni di grandi dirigenti del Pci nella campagna referendaria. Parlandone con Giuseppe Vacca, presidente dell’Istituto Gramsci e da poco anche presidente del comitato per il Sì del Lazio, promettiamo dunque per prima cosa di non domandargli cosa avrebbe votato Antonio Gramsci.
«E fa bene, primo perché non sono entrato nel comitato per il Sì come presidente dell’Istituto Gramsci, ma come Beppe Vacca, semplice iscritto alla sezione del Pd di piazza Verbano. E secondo perché avrei risposto come rispondo sempre a domande analoghe».

 

Le capita spesso?
«L’ultima volta, in un’intervista radiofonica, mi hanno chiesto cosa avrebbe votato Gramsci sulle unioni civili».

 

E cosa ha risposto?
«È molto che non lo sento. Ma ho il suo numero di telefono e sono autorizzato a darlo, così potete chiederlo direttamente a lui».

 

Non mi dirà che anche lei adesso è contro l’uso politico della storia…
«Io non sono contrario all’uso politico della storia, per la semplice ragione che lo ritengo ineludibile. Si tratta semmai di capire qual è la storia pertinente al discorso politico».

 

In questo caso?
«C’è la storia di un dibattito costituzionale che è anche la storia dei diversi tentativi di revisione compiuti negli ultimi trent’anni. È una tematica di cui abbiamo abbondantemente discusso e a cui abbiamo ininterrottamente lavorato sin dalla fine della Prima Repubblica, che è stata centrale nella costruzione dell’Ulivo, che è stata una delle priorità fondamentali del programma con cui è nato il Pd. Il punto non è dire sì o no all’uso politico della storia, che è comunque, lo ripeto, inevitabile».

 

Bensì?
«Bensì individuare il terreno più appropriato e più utile per aiutare un dibattito di merito su un referendum di tipo particolare, perché confermativo di una riforma fatta a maggioranza».

 

Una delle critiche, non solo dal fronte del no, è che così passa l’idea che un governo può cambiare la Costituzione. Anche lei vede un rischio nella sovrapposizione tra maggioranza di governo e fronte del Sì?
«Trattandosi di una riforma della Costituzione approvata a maggioranza, che proprio per questo, secondo quanto previsto dall’articolo 138, richiede un referendum confermativo, mi pare ovvio che la maggioranza che havotato la riforma in parlamento, che è la maggioranza di governo, sia la stessa che sostiene il Sì. E quindi mi pare altrettanto ovvio e inevitabile il riverbero sul governo, compreso il rischio che invece di votare sul merito si finisca per votare sul governo…».

 

Cerchiamo di contrastare questo rischio e veniamo al merito.
«Il merito è che sicuramente il bicameralismo paritario che abbiamo avuto finora non era più una risorsa ma un vincolo non più necessario. Questo con la riforma viene meno ed è un fatto positivo. Il secondo fatto positivo è che la nuova camera
delle regioni viene a coniugarsi con una revisione significativa di quella che si chiamava materia di legislazione concorrente, e che in breve rendeva molto difficile per chi governa chiamare a raccolta le forze nazionali per reggere la competizione internazionale».

 

Per quale ragione?
«Se il processo legislativo si spezzetta e si riverbera in venti angolazioni diverse quante sono le Regioni, per di più in un paese diviso tra un nord sempre più ristretto e un centrosud che comincia da Roma, mi pare evidente che è difficile venirne fuori. Per questo la riforma è fondamentale, con l’eliminazione del bicameralismo paritario e con il ripensamento di cosa possono e devono fare il governo da un Iato e le Regioni dall’altro».

 

Un’altra critica riguarda il “combinato disposto” tra riforma costituzionale e legge elettorale. Cosa ne pensa?
«Penso che di tutte le leggi elettorali che si sono succedute dalla fine della Prima Repubblica in avanti l’Italicum sia quella che più favorisce la ricostruzione di una impalcatura del sistema politico centrata sui partiti».

 

Si riferisce al premio di maggioranza assegnato al partito anziché alla lista?
«Sì».

 

Come sa anche questo è un punto molto criticato, dalla minoranza del Pd e non solo.
«Penso che su questo punto si debba avere una visione sistemica e pensare se e come introdurre contrappesi e correttivi. Mi spiego: proprio perché l’Italicum ha la virtù di riportare i partiti al centro, uno dei contrappesi è sicuramente accelerare la riforma per regolare secondo il dettato costituzionale la vita dei partiti».

 

Fonte: l’Unità

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