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Minniti: “Le norme di libertà le abbiamo scritte insieme ai sindaci”

Il ministro dell`Interno Marco Minniti è un calabrese allergico ai tartufismi. Va dritto. «Quindi il decreto sulla sicurezza urbana sarebbe una legge di destra… Straordinario… Forse perché qualcuno non l`ha letto». E capovolge la prospettiva. «Allora qualcuno mi risponda: è di destra una legge che sottrae la definizione delle politiche della sicurezza nelle nostre città alla competenza esclusiva degli apparati, trasformando la sicurezza in bene comune e chiamando alla sua cogestione i rappresentanti liberamente eletti dal popolo, vale a dire i sindaci? È di destra un decreto che, per la prima volta nella storia repubblicana, risponde a una legittima richiesta di sicurezza con il solo strumento amministrativo, senza aumentare le pene o introdurre nuovi reati? È di destra un provvedimento che è stato scritto a quattro mani con l`Anci, con sindaci italiani che vanno da Zedda a Nardella, da Decaro a Sala?».

 

Come per il protagonista del celebre film del regista russo Nikita Sergeevic Mikhalkov, “Amico tra i nemici, Nemico tra gli amici”, nel destino di Minniti c`è un ricorrente paradosso che racconta molto della Sinistra italiana, della scarsa dimestichezza di una sua parte quando si tratta di mettere mano, conciliandoli, a diritti cruciali e apparentemente confliggenti come “sicurezza” e “libertà”. E anche per questo, forse, proprio quell`accusa di essere padre di una “legge di destra”, insieme all`obiezione, opposta, di molti sindaci che avrebbero voluto strumenti penalmente più penetranti ( come l`obbligo di arresto in caso di recidiva dopo il Daspo ), convince Minniti di essere sulla strada giusta. «L`unica percorribile, perché in grado di declinare le politiche della sicurezza in chiave moderna, democratica, e inclusiva. Dunque rinunciando a declinarla solamente come ordine pubblico.

 

La dico semplice: perché una piazza sia sicura la notte, è necessario che sia presidiata da una macchina della polizia, non c`è dubbio. Ma anche che quella piazza sia illuminata e resaagibile da politiche sociali di inclusione, oltre che di decoro urbano. Ecco, il mio decreto sulla sicurezza è questa cosa qui».

 

Ci sarebbe anche bisogno, se si parla di sicurezza, che gli apparati siano trasparenti
e responsabili – va aggiunto – come pure il decreto nella sua versione originaria indicava, introducendo,con un emendamento, il codice identificativo per i reparti impegnati nell`ordine pubblico. Emendamento poi ritirato. «Solo per ragioni tecniche – dice Minniti – Perché quella norma, per ragioni di procedibilità, come accaduto ad un`analoga iniziativa dei Cinque Stelle in commissione, non poteva appunto essere oggetto di un emendamento. Quindi, rassicuro tutti. Introdurrò
l`identificativo di reparto per le forze dell`ordine impegnate nell`ordine pubblico. E non perché di sinistra. Ma perché, banalmente, è giusto e così si fa in altri grandi e importanti Paesi europei».

 

Negli argomenti di Minniti, è l`irritazione profonda anche per un secondo, «strumentale» argomento. Che in quelle norme si nascondano, insieme, classismo», da un lato, e condiscendenza per le pulsioni d`ordine di qualche sindaco sceriffo. «Questa idea che il decreto serva ai sindaci per ripulire i centri
storici delle città, confinando i marginali ancora più ai bordi, significa semplicemente non aver letto quel decreto. Il sindaco non ha nessun potere di disporre il daspo, vale a dire l`allontanamento amministrativo di un soggetto da una determinata area della città, perché quel potere è e resta dei questori. Il sindaco ha solo il potere di segnalare le aree urbane su cui concentrare gli sforzi di controllo del territorio. Inoltre, l`obiettivo di questo strumento non saranno i clochard o chi rovista in un cassonetto della spazzatura, ma, per dirne una, qualche spacciatore seduto davanti a una scuola o una discoteca, o magari un writer cui sarà chiesto di ripulire un bene comune che ha imbrattato».

 

Ancora una volta, dunque, un capovolgimento degli argomenti. «Classista non è il decreto. Classista è il modello da cui questo decreto divorzia. Quello che abbiamo avuto sin qui. Un modello di sicurezza che la garantisce solo a quei soggetti forti che sono in grado di assicurarsela privatamente o che hanno la forza per negoziarla politicamente. Insisto: cosa c`è di più democratico di Comitati provinciali per l`ordine e la sicurezza pubblica presieduti da un prefetto e un sindaco che, insieme, definiscono le strategie per il controllo e la sicurezza del territorio? Si dirà: ma se il sindaco è di destra? Sempre un sindaco è. E, soprattutto, è un sindaco liberamente eletto dal popolo».

 

C`è infine un paradosso. Che da Sinistra – «quasi per autocertificazione», osserva sarcastico il ministro – venga contestato un modello che, ribaltando il rapporto tra il centro e la periferia, «devolve ai rappresentanti delle comunità la sicurezza dei luoghi che, solo le comunità, più di chiunque altro, conoscono e sono dunque in grado di proteggere al meglio». Un modello che, per altro, rende il prezzo della inevitabile compressione delle libertà di fronte alla minaccia, quale essa sia, terroristica piuttosto che del crimine organizzato, più tollerabile. Proprio perché condiviso. «Lo ripeto – si appassiona Minniti – io, scrivendo il decreto insieme ai
sindaci non avevo in testa il clochard o l`ambulante immigrato. Io avevo in tosta non solo quello che è successo a Berlino in dicembre quando si è visto cosa può accadere se non si protegge adeguatamente un mercatino rionale. Avevo in testa quello che ho ascoltato da molti sindaci del nostro Mezzogiorno quando mi spiegavano che l`infiltrazione della criminalità organizzata nel tessuto urbano passa anche per i parcheggiatori abusivi. Avevo in testa il bene comune. Lo chiamano destra? Io dico che è l`Italia, vista dal mio punto di vista, quello della sinistra riformista. Chi dice che rinuncia alla libertà per la sicurezza è un cattivo maestro. Sicurezza è libertà. Non c`è nessun posto sicuro se non è garantita la libertà di frequentarlo. Non c`è nessuna libertà se non viene garantita la sicurezza
del libero andare».

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