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De Castro: “Vi spiego perché la Pac è una rivoluzione e non solo greenwashing”

Il 21 ottobre scorso abbiamo raggiunto un accordo sul futuro della Politica agricola comune, dopo un’intensa settimana di voti sugli oltre 2.000 emendamenti presentati. Un accordo particolarmente ambizioso, soprattutto sotto il profilo degli impegni di cui l’agricoltura europea si dovrà fare carico, per contribuire agli obiettivi dell’Unione in tema di lotta ai cambiamenti climatici e di protezione dell’ambiente. La Pac diventa, con questo voto a larga maggioranza del Parlamento europeo, un pilastro fondante del Green Deal europeo e raccoglie le sfide che sono state annunciate con la presentazione delle strategie sulla biodiversità europea e sulla visione circolare della catena alimentare (strategia Farm to Fork). Questa premessa è fondamentale per fare chiarezza circa gli strali che, nonostante tutto, sono stati lanciati verso questa riforma da una parte del mondo ambientalista.
 
Credo, infatti, che mai come questa volta siamo stati in grado di rivoluzionare l’impianto e gli obiettivi della Pac, con l’obiettivo di contemperare i tre livelli di sostenibilità: ambientale, economica e sociale. E i risultati sono leggibili chiaramente nella posizione del Parlamento europeo, che contiene impegni ambientali vincolanti per gli Stati membri e per gli agricoltori, la cui portata è inedita nella lunga storia della Pac. Il futuro prevede molte novità rispetto a oggi, e il valore di queste novità non può essere derubricato a misure di facciata, come qualcuno ha fatto usando il termine greenwashing. Il dettaglio ci dice altro, e credo che fare chiarezza aiuti anche nel rapporto con quella parte di associazioni ambientaliste che ha manifestato contrarietà a questo accordo di riforma.
 
Questa riforma introduce regimi ecologici obbligatori, gli ormai celebri esco-schemi che prima non esistevano, rafforza gli impegni ambientali di base per gli agricoltori (la cosiddetta condizionalità rafforzata) e fa un massiccio investimento sulle risorse per lo sviluppo rurale che promuovano misure per il clima e l’ambiente. Tutti elementi nuovi che ritengo non banali o marginali ma, al contrario, decisivi. Scegliere di destinare almeno il 30% dell’intera dotazione dei pagamenti diretti agli agricoltori per gli eco-regimi significa rivoluzionare l’impianto dei pagamenti diretti in chiave ambientale, guidando il nostro settore primario verso la realizzazione di obiettivi comuni e incentivandolo a fare un ulteriore salto di qualità nell’erogazione di servizi ambientali di cui possa beneficiare l’intera collettività. Questa decisione, combinata con gli ulteriori e significativi impegni ambientali assunti come condizione di base perché gli agricoltori possano accedere ai fondi Pac, dà un significato ancora più forte alla netta scelta ambientalista che viene fatta dall’Europa: oggi i pagamenti diretti possono essere considerati per il 90% come pagamenti verdi. E anche sullo sviluppo rurale è stato deciso che le misure su clima e ambiente raccolgano almeno il 35% delle risorse disponibili.
 
Questi elementi, insieme ad altri altrettanto cruciali, offrono a mio giudizio un racconto diverso di questa riforma. Un racconto nel quale forse per la prima volta il sentiero che integra politiche ambientali e agricole è ben definito e molto efficace. Non bisogna neanche dimenticare che la politica agricola, in particolare in questa contingenza storica, è chiamata a sostenere l’agricoltura e la produzione di cibo come elemento essenziale di sicurezza nazionale, di vitalità delle aree rurali, di prossimità degli approvvigionamenti. Un racconto talmente ambizioso che forse farà anche fatica a essere accettato da tutti i Paesi durante i prossimi negoziati inter-istituzionali. La mia impressione è che questa nuova trama sia sfuggita più o meno volutamente ai più, e in particolare agli storici detrattori della Pac, che guardano a una dimensione dell’intervento europeo dell’agricoltura che è superata da tempo. La Pac è cambiata molto e con questa riforma l’Europa vuole diventare capofila per conciliare l’obiettivo di un’agricoltura vitale con quello di un’agricoltura e di un sistema agroalimentare capace di sviluppare resilienza e benefici per l’intera collettività.

 

Fonte: La Repubblica

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