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Orlando: “Il PD si può ricostruire solo se passa il Sì”

«Il Partito democratico non è quello raccontato approfittando delle parole di De Luca, non vive sulle clientele. Certo, ha molti limiti e in molte realtà va ricostruito. Con una vittoria del Sì avremo più forza». Il ministro della Giustizia Andrea Orlando fa campagna per il referendum costituzionale puntando sul merito della riforma, certo, ma anche per «rendere il Pd una casa più accogliente di ora». Accogliente per la sinistra, ovvio. «Contrariamente a cíò che pensano alcuni dentro al Pd mi riferisco alla minoranza bersaniana la vittoria del No è destinata a rafforzare soprattutto, se non esclusivamente, le forze populiste. E’ una brutta prospettiva per la nostra parte politica».

L’Economist, motivando la sua scelta del No, dice sostanzialmente che la riforma costituzionale serve a poco. Sarebbe servita molto di più la riforma della giustizia e la chiama in causa.

«Una motivazione inaccettabile per due ragioni. Primo, la riforma del settore è già cominciata attraverso una migliore organizzazione. Lo dicono i numeri. Le cause civili nel 2014 erano 5,6 milioni, oggi sono 3,8. E’ partito il processo telematico. Il tribunale delle imprese è avviato e serve agli investimenti dall’estero. Dopo 25 anni è stato fatto il bando per l’assunzione di nuovi cancellieri. Poi ci sono le leggi anticorruzione, sugli ecoreati e sul caporalato. In tre armi abbiamo recuperato 49 posizioni nella classifica dooing business per il settore giustizia. E inaccettabile anche per un’altra ragione: invita a votare No per il rischio che alle prossime elezioni vinca il M5S, prefigurando come alternativa migliore un governo tecnico, cioè l’idea che l’Italia non possa essere una democrazia normale».

Lei sa che si parla della riforma penale e civile, bloccata in Parlamento da mesi.

«E secondo lei, o secondo l’Economist, un’eventuale vittoria del No farebbe aumentare le possibilità di approvazione di quelle riforme? Semmai rischia di trascinare nel nulla anche le riforme in corso d’opera».

Qual è la sua principale ragione per votare Sì?

«Il mio è un punto di vista molto di sinistra…».

Ma Renzi non cerca voti a destra?

«Io dico la ragione che ispira me. In un mondo che corre, una democrazia che va a passo d’uomo può essere svuotata delle sue funzioni e i processi legati alla globalizzazione finiranno per essere risolti da soggetti non legittimati democraticamente. Anche un elettore di destra, penso, non è disinteressato al tema dello svuotamento della democrazia, che agevola le posizioni populiste».

Gli ultimi sondaggi pubblici davano per molto probabile il successo del No. Cosa succede dopo? Davvero non c’è un modo per arrivare al voto nel 2018?

«Le conseguenze non andranno nel senso della stabilità e della capacità del Paese di affrontare i problemi con maggiore forza. Questo mi sembra chiaro. Però stavolta non me la sento di fare il tiro a segno sui sondaggisti. Le loro previsioni indicano chiaramente che esiste una larghissima fascia di indecisi. Per questo sono convinto che alla fine i risultati cambieranno».

Renzi può continuare a governare?

«Le parole di Renzi, su questo punto, sono state molto chiare. La valutazione finale compete al capo dello Stato».

Se vince il Sì, il Pd subirà una scissione, come dice D’Alema?

«Ho fatto più di 50 iniziative in giro per l’Italia. La stragrande maggioranza delle forze attive del Pd si è mobilitata per il Sì. Perciò lo scenario post referendum non credo favorisca tentazioni scissionistiche. La scissione non sarebbe compresa».

Qual è lo stato di salute del Pd?

«Ha molti limiti, può funzionare meglio. Però è l’unico partito che non risolve i suoi conflitti con gli strumenti dell’espulsione o della delegittimazione. Prendiamo il caso di Stefano Parisi prima lanciato e poi accompagnato alla porta o la decimazione dei gruppi dirigenti 5 stelle che è un dato quotidiano».

Lei si candida alla segreteria del Pd?

«Non ho questo obiettivo. Ho l’obiettivo di aprire una discussione seria sulla nostra identità politica perché il problema c’è».

Lo dicono anche i bersaniani Per risolverlo votano No.

«La vittoria del Sì ci permetterà di affrontare con più forza e serenità il tema del funzionamento del partito. La vittoria del No ci getterà in una nuova emergenza che ridurrà lo spazio per qualsiasi riflessione».

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