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Orlando: “Passi avanti sulla Procura Ue, l’Italia parteciperà”

Intervista al ministro Andrea Orlando, candidato alla segreteria del PD, di Jacopo Iacoboni su La Stampa.

 

Ministro Orlando, pensa che ci siano gli estremi per mandare gli ispettori a Catania?

«No. Non ci sono, per quanto ne sappia, profili disciplinari, rivelazioni di segreto. Ci sono naturalmente valutazioni di opportunità, che possono essere diverse, ma io non posso censurare qualcuno perché esprime una valutazione di tipo politico. In questo la mia idea è simile a quella del procuratore di Palermo Lo Voi».

 

Andrea Orlando in questi giorni è diviso a metà, da una parte il Guardasigilli, che deve affrontare e gestire le polemiche sul caso Ong, comprese certe tensioni anche nell’area di governo, oltre alle tante strumentalizzazioni politiche. Dall’altra il candidato delle primarie che sfida Renzi, cercando di far fare al Pd qualcosa di sinistra. Ieri è stato ospite a La Stampa per una chat. Di Maio la attacca pesantemente, dice che lei sul lavoro del procuratore di Catania «è stato vergognoso», parla di modifica alle leggi per usare le intercettazioni «in modo da poter aprire il processo». Che gli risponde?

«Non ho bisogno certo delle sollecitazioni di Di Maio per facilitare il lavoro dei magistrati e, in questo caso, aiutare la Procura di Catania. Anche con più mezzi. Siamo pronti a dare un mano in più anche sul fronte tecnico delle intercettazioni. La differenza è che noi di queste cose ci occupiamo tutti i giorni, non le facciamo con i comunicati stampa o sui social».

 

Ma esistono delle frizioni anche nell’area di governo? C’è differenza tra lei e Minniti? E esistono diversi fronti in azione anche nell’amministrazione? «Secondo me no. Con Minniti c’è un’identità totale, mi sembra che abbia detto le stesse cose che ho detto io».

 

E il ministero, anche aldilà dello stesso ministro? È possibile che ampi suoi pezzi in fondo simpatizzino con quanto dice Di Maio, e che il grillino ammicchi a loro, in questa storia?

«Io non credo che al Viminale ci siano queste simpatie, e non credo che Di Maio ammicchi a qualche gruppo, anzi credo che strumentalizzi e basta. Il capo di gabinetto del ministero, Mario Mortone, è un prefetto che ha lavorato una vita sull’immigrazione, e conosce meglio di tutti qual è il ruolo fondamentale delle Ong. Se l’Italia ha fatto così bene il lavoro affidatole in Frontex, è stato anche grazie all’aiuto di tante di queste Ong».

 

Un maggior coordinamento europeo aiuterebbe. A proposito, sono cadute le resistenze italiane alla procura europea?

«Non ci sono mai state resistenze: noi anzi volevamo che la Procura avesse più competenze, si occupasse anche di criminalità organizzata e di terrorismo, come previsto dai trattati di Lisbona, non solo di truffe. Poi la montagna ha partorito un topolino. Abbiamo chiesto perciò di rafforzarne i poteri. A Roma abbiamo avuto un incontro con Francia e Germania in cui le nostre ragioni sono state almeno in parte accolte: era la condizione minima per cui ora possiamo rientrare nella cooperazione rafforzata sulla Procura europea. Ma bisogna fare molto di più».

 

In mezzo a questi eventi cadono le primarie del Pd. Cosa chiedete a Matteo Renzi per rendere il Pd, almeno vagamente, di sinistra?

«Essere il partito che si occupa delle disuguaglianze, dei 4 milioni di poveri, del problema che il 25% della ricchezza, una cifra pari all’ammontare del debito pubblico, va ormai all’1% degli italiani. Poi sarebbe decisivo provare a fare una legge elettorale, perché il punto vero che ci divide nel partito è: vogliamo le larghe intese con Berlusconi o un nuovo centrosinistra? Renzi, non facendo nulla per cambiare davvero questa legge elettorale, vuole portare obtorto collo un pezzo della sinistra, compreso Giuliano Pisapia, a infilarsi nel listone del Pd. Lui basa tutto sui rapporti di forza. Ma ci sono anche i rapporti umani. Tra l’altro, e su questo ha ragione D’Alema, la forza del M5S è anche un po’ la conseguenza della debolezza della sinistra radicale».

 

Il paradosso è che lo dica D’Alema. Orlando sorride. Gli scappa una battuta: «Stento anch’io a vedere in D’Alema il Mélenchon italiano».

 

 

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