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Boccia: “Bisogna favorire l’unità del partito con primarie a due”

«Ma di quale situazione grave e inaccettabile farfuglia Roberto Giachetti?». È un fiume in piena al telefono Francesco Boccia, in corsa con lo stesso Giachetti, Nicola Zingaretti, Maurizio Martina, Dario Corallo e Maria Saladino per la guida del Pd, in quella maratona procedurale che passa prima dalle votazioni nei circoli (per gli iscritti) e poi da quelle ai gazebo (con le primarie aperte).
 

Giachetti si riferisce all’assenza di cifre ufficiali. In effetti, ho letto una Babele di numeri e percentuali in cui, onestamente, mi sono un po’ perso.

 
«Ma quali dati certificati, scusi? Votiamo in un arco di 15 giorni, la data finale doveva essere il 23, ma ci sono circoli che hanno chiesto di spostarla a sabato 26. Non esiste lo stesso orario per tutti, in molte realtà si è votato quando si è potuto, chi la mattina, chi il pomeriggio, mai però per più di sei ore consecutive, e non tutti negli stessi giorni. Calabria e Sicilia manco hanno ancora votato, e questo dovrebbe dirle molto».
 

Quindi chi scrive che lei avrebbe percentuali da prefisso telefonico…

 
«Sta facendo filtrare in maniera capziosa e dolosa risultati parziali, perché se è vero che in alcuni circoli ho preso una manciata di voti, in altri ho fatto numeri di tutto rispetto, fino al caso clamoroso di Vitulano dove ho fatto l’en plein con il 100% dei voti».
 

Vitulano, Benevento, l’Ohio di Boccia.

 
«Sfotta pure, se la diverte. Ma io gli iscritti me li sono andati a cercare da Torino a Catania, contro la nomenklatura degli apparati che si accorda per decidere chi deve passare il turno, e chi no».
 

E cioè Zingaretti, Martina, Giachetti. Perché Marco Minniti si è chiamato subito fuori.

 
«Minniti coltivava l’ambizione di rappresentare una candidatura unitaria, o comunque non divisiva. Un’illusione che si è scontrata con il desiderio di rivincita, con la testa rivolta al passato, dei renziani. Che infatti hanno piazzato la loro mela avvelenata».
 

E chi sarebbe la mela marcia?

 
«Non ho detto marcia, ho detto avvelenata».
 

Scusi, ho sentito male. Però a pensarci bene: meglio marcia, almeno rischi solo un’intossicazione. Il veleno invece ti manda all’altro mondo.

 
«Guardi, fuor di battuta: il disegno di Giachetti è quello della rivalsa vendicativa, continuando a dar la colpa agli italiani di non aver capito le meraviglie realizzate dal governo Renzi. Nessun esame serio di coscienza, nessuna disamina degli errori compiuti, con la prospettiva di continuare ad allargare il fossato tra il Pd e quella parte di Paese che è in difficoltà, che si sente insicuro (perché Matteo Salvini è bravo a fargli credere che sia così, sempre e comunque) e che guarda con preoccupazione al proprio domani. E noi, invece di elaborare una serie di proposte alternative, che parlino alla testa ma anche al cuore delle persone, dei nostri stessi elettori delusi che il 4 marzo si sono rivolti altrove, che cosa facciamo, o, peggio, non facciamo?».
 

Che cosa fate, o, peggio, non fate?

 
«Non raccontiamo l’Italia del futuro, come la vorremmo, ma pensiamo di fare un referendum sul reddito di cittadinanza, capisce? Promossa da un fedelissimo renziano come Sandro Gozi. Ma come: sono passati due anni dall’altra scoppola referendaria, quella in cui gli elettori non solo affossarono la riforma costituzionale, ma vollero punire Matteo Renzi e il suo gruppo dirigente, e noi torniamo da capo a dodici a baloccarci con l’idea di una rivalsa nelle urne?».
 

Quando parla di elettori del Pd che alle ultime politiche hanno votato da un’altra parte mi sembra di ascoltare Zingaretti. Ci sono affinità elettive tra voi?

 
«In questa competizione elettorale interna siamo rivali, perché ciascuno fa la sua gara. Ma chi gli imputa un’apertura ai vertici dei M5S lo attacca in modo ipocrita. Perché se si tornerà alle urne, quando sarà (e ovviamente io mi auguro che questo governo cada), qualcuno dovrebbe spiegarmi cosa farà il Pd con la legge elettorale che Renzi ha voluto, il Rosatellum».
 

Un proporzionale che postula o produce la necessità di accordi.

 
«Certo. Perché se per la parte proporzionale quella legge serve a nominare i propri parlamentari, è anche vero che poi la stessa logica proporzionale ti impone di fare alleanze, tertium non datur. Capisce i danni fatti da Renzi e dal renzismo? Siamo finiti in un cul de sac, ma Renzi non molla la presa e continua a voler eterodirigere il partito che ha contribuito a lasciare così: sotto il 20% dei voti, senza un euro in cassa, con i dipendenti in cassa integrazione».
 

Come finirà, Boccia?

 
«Il 2 febbraio la convenzione nazionale sancirà chi accederà al voto dei gazebo: io la soglia del 5% nazionale la supererò, per il resto vedremo».
 

Ma pur sopra il 5% deve comunque risultare almeno terzo, sennò i gazebo li vede come elettore.

 
«Le uniche battaglie che non si vincono sono quelle che non si affrontano nemmeno. Io ho voluto metterci la faccia perché ho a cuore il domani del Pd e dell’Italia. Il mio obiettivo è essere uno di quei tre. Chiunque fosse il terzo, comunque, per il bene del partito dovrebbe fare un passo indietro per favorire il massimo sforzo di unità possibile, con un finale a due».
 

Per le europee Carlo Calenda ha proposto un listone unico del centrosinistra, ipotesi peraltro già avanzata da Dario Franceschini nell’ottobre scorso. Ma sono fioccati subito i distinguo, da Pier Luigi Bersani ad Andrea Orlando, fino allo stop perfino di Enrico Letta: «Penso che i populisti vadano divisi, non aiutati ad essere uniti contro l’Europa. II frontismo anti populista finisce per essere un’occasione per i populisti per avere dei nemici facili».

 
«Trovo surreale aprire un dibattito del genere mentre c’è in corso una competizione dentro il Pd, e l’iscritto Calenda dovrebbe ricordarselo. Prima di immaginare ammucchiate calate dall’alto, frutto ancora una volta di inciuci al vertice, cerchiamo di ridare un’identità e un’anima chiare al Pd».
 

Sa cosa ha ricordato Andrea Frailis, appena appreso di essere vincitore nelle elezioni suppletive di domenica in Sardegna? «Sono iscritto al Pd, alla Camera sarò nel gruppo del partito, ma da indipendente. Ho chiesto, anzi preteso, come condizione per accettare la candidatura, che non venisse da Roma nessuno dei leader del Pd».

 
«È da persone appassionate come lui che, come si vede, si può ripartire. Non ci si può presentare, in Sardegna o altrove, solo per fare passerelle organizzate dagli apparati. Nei collegi uninominali il 4 marzo dal Centro Italia in giù i M5S avevano fatto cappotto. Questo risultato è uno spiraglio che fa filtrare finalmente un po’ di luce».
 

Una «seada» che fa primavera.

 
«Speriamo».

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