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Martina: “Dividerci sarebbe una follia. Non farò accordi a tavolino”

C’è chi spara fiamme sulle ceneri del Pd e chi getta acqua per placare l’incendio, scandendo parole come rispetto, unità, responsabilità. E se molti decretano la morte del partito, l’ex segretario Maurizio Martina lavora per scongiurare una devastante scissione.
 

Minniti si è ritirato per i sondaggi o perché non aveva sostegno di Renzi?

 
«Voglio esprimere massimo rispetto per questa scelta e per come Minniti, che io ritengo un’energia fondamentale per il Pd, ha deciso di compiere questo passo. Il congresso serve a ripensare il rapporto del Pd con il Paese e dobbiamo essere tutti all’altezza della responsabilità che abbiamo in questo passaggio. Tanto più di fronte a un governo come questo, che sta facendo scelte pericolose per gli italiani».
 

Chiederà a Minniti di sostenere la sua candidatura?

 
«Non dobbiamo affrontare il percorso congressuale col pallottoliere, nella logica stretta di chi sostiene chi. Io ho sempre chiesto di poter fare un congresso sulle idee, prima ancora che sui posizionamenti, sulle percentuali e sui nomi. Abbiamo bisogno di chiarezza e di unità».
 

L’unica donna in corsa, Maria Saladino, invita i «galantuomini» suoi avversari a ritirarsi. Medita di lasciare il campo a Zingaretti?

 
«Ma no! Pregherei tutti di non complicare una situazione già complicata. Non saranno accordi a tavolino a rilanciare il Pd. Si è mai visto un congresso con una sola ipotesi in campo? È giusto che alle primarie si esprimano, nella chiarezza, posizioni diverse, Dobbiamo dare tutti una mano a questo lavoro, che può essere straordinario se si abbandonano i tatticismi».
 

Qualcuno gioca al massacro, denuncia Zingaretti.

 
Mi auguro che nessuno voglia giocare al ribasso. Per quel che mi riguarda, ho sempre lavorato per tenere assieme pluralità e unità. Dobbiamo discutere di come stiamo dentro per rilanciare il progetto e non di come si esce».
 

Renzi lancerà la “cosa nuova” alle Europee?

 
«Mi auguro assolutamente che non accada. Se ci fosse nel nostro campo un’altra scissione sarebbe una follia. Chi divide il fronte rischia di fare un grande piacere a M5S e destra».
 

Un “regalo ai populisti” come prevede Minniti?

 
«L’ho sempre pensato. Davanti ad altre divisioni a sinistra il giudizio di tutti noi è stato molto severo. La storia si è incaricata di dimostrare che quel passaggio è stato un errore e io non voglio che quel film si ripeta».
 

Dice che Renzi rischia di fermarsi al 3% come Leu?

 
«Dico che il fronte va unito e allargato, non diviso».
 

Delrio resterà e voterà per lei. Il capogruppo potrebbe essere la calamita che fa restare nel Pd i pezzi grossi del renzismo, come Lotti, Boschi, Rosato, Guerini?

 
«Io penso che nessuno uscirà. E nel Paese ci sono tanti democratici che non vogliono altro che dare una mano a cambiare il Pd e renderlo più forte. A loro vogliamo parlare, altro che dividerci».
 

L’ex premier è solo contro tutti e rimprovera voi ex Ds di pensare solo alla «ditta», mentre lui pensa al Paese.

 
«Io faccio la mia parte per il Pd e per il Paese. Ho girato in lungo e in largo in questi mesi per riportare la nostra voce in ruoli cruciali, da Taranto a Genova, alla nostra grande manifestazione di piazza del Popolo. Da quando ci siamo candidati abbiamo proposto di legare le primarie alla raccolta di firme per un referendum abrogativo del decreto Salvini, pericoloso per il Paese. Due giorni fa abbiamo lanciato l’idea di far nascere dopo le primarie un governo ombra per l’alternativa. Dobbiamo allargare, aprire porte e finestre».
 

Se vince lei, richiamerà nel Pd Bersani e D’Alema?

 
«No, si fermi. Non è una questione di gruppi dirigenti, ma di nostri elettori che il 4 marzo hanno dato il consenso a qualche forza della maggioranza e ora sono arrabbiati e disillusi. L’alternativa si costruisce nel Paese, non con qualche riunione tra big».
 

È pronto ad allearsi con il M55 per fermare la destra?

 
«I M5S si sono dimostrati succubi, ostaggi dell’egemonia della Lega e purtroppo non vedo segnali di autonomia. A me interessa il lavoro di raccordo con i tanti che hanno votato per loro e speravano qualcosa di diverso».

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