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Eco, ci mancherà l’interprete maestroIl ricordo di Alessia Rotta

Eco esequie eseguite
Eccoci emiciclo
Encomiante erudito
Enciclopedico emerito
Eccezionale educante
Empatici esordienti

Chissà che cosa ne avrebbe pensato di questo: EPITAFFIO di Eco con la e, uno dei suoi compiti: scrivere una storia con parole che inizino con la stessa lettera.
Testimonianza del suo amore per lo studio per la sperimentazione il gioco.

Per noi rimarrà il professore che è riuscito a farci innamorare dei segni e dei loro significati, digerimmo l’ostico trattato di semiotica generale, a suon di anedotti su
Franco e Ciccio e di barzellette. Come il test di ingresso al corso di laurea, che sembrava uscito dalla settimana enigmistica. A insegnarci che la ginnastica della mente è un valore prezioso, una precondizione del sapere e dell`affrontare la vita, sui libri e fuori. Tra le domande del quiz di selezione per essere suoi allievi: l’abigeato. Per noi diventata parola in codice, siamo quelli dell’abigeato, un furto di pecore diventato distintivo di matricola. Rigoroso, ma mai severo, il professore ci ha insinuato la curiosità per ogni cosa che si muova, perché ogni testo è degno di attenzione. Il medioevo, la filosofia, un fumetto, un suo ricordo. Il meteo alla tv come capitò a me. Come ogni problema per noi posto dalla contemporaneità, dal Paese è degno di interrogarci. Eco era un oratore brillante e che usava magistralmente l`ironia, ma non si trattava di fumo negli occhi. Quando parlava aveva una tesi, che esprimeva in maniera chiara, e le capacità retoriche gli servivano per rendere più incisivo il punto e fornire anche un piacevole servizio all`ascoltatore. In altre parole, non usava la sua autorità e la sua capacità oratoria per occupare uno spazio di parola senza dire nulla. Era un grande anti-fuffa, per intenderci.

Un ricordo, questo, collettivo, scritto a più mani, dai suoi allievi della comunicazione della prima ora che oggi lavorano con successo nei campi più disparati dai media all`editoria, e anche dentro l`accademia in varie discipline differenti, camminando sulle proprie gambe. Aveva ragione lui: il modello di una formazione elastica rivolta a persone intelligenti ha un senso, la formazione su terni apparentemente di non immediata utilità, non monetizzatili, serve a far crescere persone valide. In ogni sua parola c’erano sempre due spinte. Da una parte ci faceva innamorare della cultura (alta bassa grassa luccicante opaca) dall`altra ci inchiodava a noi stessi, cioè a non diventare sue fotocopie ma a trovare la nostra strada nel nostro modo e secondo i nostri rispetti e capacità… con l’eco del suo insegnamento.

Per Eco la rosa fu una cosa sola e soprattutto quella: il suo romanzo che disse di odiare – tra il serio e il faceto – la fama e la consacrazione internazionale – per chi già non lo conosceva come semiologo- ma lui ci insegnò soprattutto con Gertrude Stein- che “rose is a rose is a rose” a dire dell’indicibile ricchezza del testo, del ruolo aperto e fondamentale del lettore e della sua collaborazione nella creazione del senso. L’insegnamento della semiotica ovvero di come le persone danno senso alla
realtà e tra loro. E quanto fecondo può essere questo assunto per la politica? Chiamata ad interpretare ciò che accade, non a subire dati e fatti, a cambiare in meglio la realtà, dopo averla osservata, noi continueremo a farlo, a leggerne le forme, i testi in cui la realtà ci si presenta, rincorrendoli nei loro significati interrogandone incessantemente il senso nella fuga degli interpretanti.
Ci mancherà l’interprete maestro.

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