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Bellanova: il mio Sì per la sinistra e per il lavoro

Teresa Bellanova è probabilmente una dei politici più noti fra i lavoratori italiani. Per il governo (è viceministro) si occupa infatti di affrontare e risolvere le crisi aziendali. Bellanova ha passato una vita nel sindacato (Cgil) prima di entrare in Parlamento (2006) col Pri A13 anni già lavorava nei campi della Puglia, a 15 è diventata rappresentante delle sue colleghe braccianti guidando le lotte contro lo sfruttamento e il caporalato. Una battaglia fatta tutta dentro il mondo del lavoro, la Cgil e la sinistra. Ed è partendo da lì, da dentro quella storia, che spiega il suo Sì al referendum di domenica facendo anche un appello a quei dem (come Bersani) che hanno scelto il No per evitare divisioni dolorose e spiegando che la riforma costituzionale proprio a «rendere più e meglio esigibili i diritti sanciti nella prima».

 

La grande novità è il Sì annunciato da Romano Prodi per il referendum. Quanto influirà, secondo lei, tra gli elettori del centrosinistra?

«Ho letto con grande attenzione le parole di Romano Prodi. Capisco quanto siano state pesate. Per questo lo ringrazio umanamente ancor prima che politicamente. Le ritengo anch’io rigorose e meditate, utili perché rimettono al centro il merito delle questioni e ne sottolineano la posta in gioco. Credo però che Prodi abbia voluto soprattutto parlare alle donne e agli uomini di questo Paese, a chi dovrà scegliere pensando alla qualità del presente e del futuro dell’Italia. Un passaggio mi ha molto colpita: la protervia delle “vecchie decisioni” avoler sussistere nonostante i cambiamenti epocali in corso. Un nodo essenziale, che tutti dovremmo tenere ben a mente».

 

Bersani resta fermo sui No, come la sua minoranza. Cosa gli direbbe per fargli cambiare idea?

«Farei un torto alla sua intelligenza politica se pensassi di dire qualcosa per fargli cambiare idea. Un dato però è incontestabile ed è l’unico punto su cui credo valga la pena riflettere: il referendum è stato scelto impropriamente come terreno per una battaglia politica interna al Pd. Che si fa nei congressi, non nel Paese e sulla pelle del Paese, un argomento che proprio Pier Luigi dovrebbe avere a cuore. Perché in Parlamento ha detto tre volte sì e per il suo amore verso il Partito. Gli chiedo di avere cura della nostra casa comune».

 

Come sarà possibile sanare la frattura nel pd dopo questo voto?

«Sono una donna prima ancora che una parlamentare o un’esponente del Governo. Abituata a pensare che nella radice dei conflitti c’è anche la possibilità di ritrovare un accordo. Dobbiamo essere tutti capaci di difendere il senso di comunità, smetterla con le esasperazioni e ritrovare, anzi rifondare, il senso di affidamento tra noi. Il punto non è l’unanimismo. Credo a un confronto politico chiaro, anche aspro, ma sul terreno politico delle scelte di prospettiva. Non posso condividere, però, il comportamento di chi ha una verità nell’aula del parlamento e una nelle piazze. La coerenza è un bene comune e anche un insegnamento che consegnamo alle generazioni future. Alla comunità politica che siamo e che mi auguro sapremo continuare ad essere, dico: ritroviamo il senso di affidamento e la forza della fiducia. Gli impegni che sono stati assunti saranno rispettati. Non è una nostalgia prepolitica ma il fondamento stesso del poter essere comunità politica».

 

Tanti gli indecisi, quali sono gli argomenti che lei userà in queste ultime ore di campagna elettorale per convincerli?

«La riforma non modifica la prima parte della Costituzione, quella sui valori fondativi, solo alcuni punti della seconda per rendere più e meglio esigibili i diritti sanciti nella prima. Facilita la democrazia, una democrazia dove la politica torna ad avere un ruolo cardine, ad assumere le sue responsabilità. E’ stato questo l’obiettivo e il senso del lavoro in Parlamento durato due anni. Nelle democrazie questo ha un valore enorme. Mi auguro che lo abbia anche nella nostra».

 

Cosa la convince di più?

«Il cambiamento che mette in atto dopo decenni di immobilismo e di veti incrociati. Ci sono punti a me particolarmente a cuore. Non solo il superamento del ping pong tra Camera e Senato o la certezza dei tempi nell’approvazione di leggi importanti. Soprattutto la chiarezza di responsabilità su materie complesse come le politiche del lavoro, le politiche energetiche, le politiche sanitarie. Rimettere al centro la decisione senza spogliare leRegioni né di autonomia né di responsabilità mi sembra un passo in avanti enorme. Oso affermare che questa chiarezza nella filiera della governance, unita al Senato delle autonomie e al ruolo evidentemente rilevante delle Conferenze, non potrà che fare bene alle stesse Regioni. Sarà pure migliorabilissima, avrà pure dei limiti, ma finalmente esiste un terreno sul quale lavorare».

 

Lei fa parte dell’esecutivo, uno degli argomentibollenti è il destino del governo in caso di vittoria del No. Che dovrebbe fare il premier? Dimettersi? Proseguire?

«Il referendum non è un sondaggio sul Governo. A rigor di logica è un giudizio su una specifica, rilevante, decisione parlamentare e, se mai, dovrebbero essere la Camere a trarre le conclusioni e rimettere la decisione al Presidente della Repubblica».

 

L’altro grande tema è la legge elettorale, comunque vada si dovrà riscrivere. Si arriverà ad un accordo?

«Ci vorrà molta pazienza e molta duttilità. Valuto le aperture del presidente del Consiglio un dato inequivocabile, non soggetto a fantasiose interpretazioni. Vorrei che fosse così per tutto il mio partito. Da donna orgogliosamente di sinistra ritengo che il terreno di un accordo con le altre forze politiche lo si crea solo se ritroviamo nella nostra comunità quell’affidamento di cui parlavo prima. Ho apprezzato moltissimo il segnale lanciato da un pezzo importante della minoranza, quella che io ho sostenuto al passato congresso, e mi auguro che questo segnale di apertura di fiducia al segretario del mio partito sia seguito da altri».

 

Ultimo appello agli elettori. Cosa dice?

«In queste settimane ho cercato di parlare soprattutto alle nuove generazioni, di cui comprendo la rabbia, la sfiducia, in alcuni momenti anche il disimpegno. Una rabbia e una sfiducia che le Istituzioni, noi, abbiamo il dovere di raccogliere e trasformare. Ogni volta che risolviamo una crisi o assumiamo una decisione penso che lo stiamo facendo soprattutto come ponte per il futuro. A tutti coloro che andranno a votare dico: informatevi, leggete, discutete ma, alla fine, abbiate la consapevolezza che per la prima voltasi sta cercando di dare un impulso al Paese, dí dare al Paese la forza e gli strumenti per continuare nel difficile percorso verso l’uscita dalla crisi. Giacché ci siete date anche un’occhiata a quello che governo e parlamento stanno facendo, dalla legge sul caporalato alla chiusura, dopo sette anni, del contratto del pubblico impiego, dalla legge sulle unioni civili a quella sul Dopo di Noi, alla nuova Legge di Bilancio e alle responsabilità forti che assume. Insomma, intanto che si va al referendum qui si lavora per sconfiggere la sfiducia e l’antipolitica… Sì!»

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