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Bellanova: “Vengo dalla Cgil ma sono fiera delle scelte fatte”

All’assemblea del Pd è stata applaudita a scena aperta quando ha difeso il partito che sta “dalla parte degli ultimi”. A guardare alla sua storia personale Teresa Bellanova, ex bracciante, sindacalista Cgil e poi parlamentare dei Ds, avrebbe dovuto essere sensibile alle ragione politiche e al “richiamo” di quel gruppo di dirigenti che hanno deciso di lasciare il Pd. Al contrario il viceministro dello Sviluppo Economico (che in realtà già nella Cgil era sul fronte riformista, come ricorda in questa intervista) è divenuta in questi giorni un simbolo del “renzismo di sinistra”. Un’immagine che lo stesso Matteo Renzi ha alimentato citandola dal palco domenica scorsa e che, al di là delle etichette, lei non nega.
 
Che effetto le fa vedere i suoi ex compagni che lasciano il partito?
 
«Le separazioni danno sempre sofferenza. Ma se alcuni se ne vanno ci sono moltissimi compagni di battaglie che rimangono e vogliono rafforzare questo partito, al di là del segretario che sceglieremo. Io continuo a sperare che si riscoprano le ragioni dello stare insieme».
 
Stesse a lei, darebbe più tempo per il congresso?
 
«Senza voler mancare di rispetto, i temi che stanno alla base delle scissione mi paiono risibili. Il congresso è stato chiesto e accordato e si definiranno i contenuti. Noi siamo davvero democratrici e saranno gli iscritti e i militanti a decidere. A chi se ne va dico: non sottraetevi al confronto e non abbiate paura di misuravi con la democrazia. Quanto ai tempi del congresso sono dettati da regole definite quando Renzi non era ancora segretario. La richiesta di allungarli è strumentale. Non è una settimana in più o in meno che può determinare la scelta di appartenenza a un partito».
 
L’ex premier Massimo D’Alema vi accusa di avere “perso il popolo” e marginalizzato i sindacati.
 
«A D’Alema dico che bisogna sapere invecchiare. Fu lui in un congresso accusò la Cgil di conservatorismo. Io invece feci parte di quei 49 sindacalisti che chiesero a Sergio Cofferati meno massimalismo e più unità sindacale».
 
All’epoca fu uno scontro politico. Stavolta sono arrivati l’abolizione dell’articolo 18 e la buona scuola contrastati dai sindacati, mentre i voucher sono decollati. Misure che la convincono o che ha subìto?
 
«L’articolo 18 non è stato cancellato, abbiamo ridefinito quello che era già stato rivisto dal governo Monti. Quanto alla “Buona scuola” bisogna sempre ricordare che il governo Berlusconi ha fatto 60mila licenziamenti e noi 100mila assunzioni. Certo, abbiamo chiesto a una parte degli insegnanti di spostarsi dove stanno gli studenti, era un po’ difficile trasferire i bambini. Poi ricordo i 340 milioni destinati alla sicurezza degli edifici scolatici. Abbiano cercato di dare soluzioni, ma è difficile farle conoscere quando c’è opposizione anche nel tuo partito».
 
Sui voucher incombe il referendum e il governo annuncia modifiche di legge. Qual è la sua opinione?
 
«Intanto il governo Renzi non ha fatto nessun intervento per ampliare l’uso dei buoni lavoro, mentre abbiamo inserito la tracciabilità. Ora, sulla base del dati del monitoraggio e non per disinnescare il referendum, dovremmo valutare se c’è un uso improprio che va fermato. Ma senza approcci ideologici. L’obiettivo è tornare allo spirito originario dei voucher per far emergere dal nero il lavoro occasionale e accessorio».
 
Il referendum e le amministrative hanno evidenziato una particolare debolezza del Pd nella periferie, tra i giovani, nel Sud. Errori di comunicazione o c’è da correggere la rotta?
 
«C’è sempre qualcosa da correggere ma sono decenni che la sinistra ha difficoltà nel voto operaio e nel Mezzogiorno. È un tema con cui fare i conti ma riguarda la complessità dei problemi attuali, che non ci ha messo in sintonia con queste fasce. Spero che il congresso, senza spiriti di rivalsa serva anche a questo. Andare nelle periferie e parlare alla gente come classe dirigente, non come nomenklatura».
 
Nei maggiori Paesi europei i vecchi partiti socialdemocratici si stanno riorientando a sinistra. Una necessità o un rischio?
 
«Il rischio vero oggi è avere al governo le destre di Trump e delle Le Pen, il ritorno dei nazionalismi della xenofobia e dell’intolleranza. Dobbiamo confrontarci con i problemi offrendo soluzioni innovative, non cose già sperimentate. Noi possiamo essere orgogliosi delle scelte fatte dal presidente Renzi sull’immigrazione. Come delle risorse investite nel contrasto alla povertà».
 
Ma la legge delega è ancora in Parlamento…
 
«Tra le tante priorità, per questa dobbiamo fare uno sforzo in più».

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