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Cuperlo: “Serve una lege elettorale condivisa”

Gianni Cuperlo, faccia una previsione, quando si voterà secondo lei?

«Conta il quando, ma di più il come. Serve una legge elettorale condivisa e capace di combinare rappresentanza, governo e un nuovo legame tra territori ed eletti».

 

Il Pd subirà una scissione di chi teme di non essere ricandidato?
 

«Il Pd ha già subito la scissione di una parte dei nostri elettori. Giovani e Mezzogiorno sono ferite aperte. Ignorare che quella è la questione ricorda la storia del dito e della luna».

 

Che legge elettorale potrebbe uscire da questo Parlamento dopo la sentenza? Nessuna, come pensano in molti?

 
«No, penso che una buona legge si possa fare. Un impianto proporzionale con collegi uninominali e un premio fisso di incentivo alla governabilità. Troverei una rinuncia della politica farsi dettare le regole da una sentenza, che è giusto rispettare, ma che rischia di consegnare a lungo l’Italia alle larghe intese».

 

Contento che si torni alle coalizioni e alleanze abbandonando il progetto di un Pd a vocazione maggioritaria?

«Abbiamo una priorità, costruire un nuovo centrosinistra. È la sola via per allargare il campo e ricucire con pezzi di società che dopo il jobs act o la buona scuola ci hanno girato le spalle. Pensare che il Pd basti a sé stesso è un errore grave. Immaginare un centrosinistra senza il Pd è un’illusione. Tra l’errore e l’illusione c’è lo spazio nel Pd per quella nuova sinistra sociale e culturale che, assieme ad altri, è il mio primo impegno».

 

Nel Pd tanti dirigenti frenano sul voto anticipato anche perché temono una corsa verso il baratro per consegnare il paese a Grillo. Anche lei?
 

«Il baratro per me sono gli 11 punti di Pil che la crisi ci ha portato via. I 5 milioni di italiani sotto la soglia di povertà. I 2 milioni di famiglie che non ce la fanno. Le regioni ferite dal terremoto. Ho rispetto per Grillo, semplicemente non credo sia la soluzione per i problemi drammatici di un’economia imballata e una società impaurita».

 

Un progetto per il paese e un progetto per il partito sono i due requisiti per poter affrontare una campagna elettorale. Li avete entrambi?
 

«Le due cose si tengono. Senza un partito radicato anche le buone idee faticano e rischi quel riformismo dall’alto che molti guasti ha prodotto. Al paese dobbiamo dire poche cose: che al centro mettiamo la lotta a diseguaglianze indecenti, che investiremo su scuola e formazione come mai è stato fatto, che si deve ridurre il costo del lavoro e che far pagare di più chi ha di più non è una bestemmia ma una forma di giustizia».

 

Crede che per il Pd vi sia un altro leader più in grado di farvi vincere?
 

«Serve un leader, ma un leader da solo non basta, perché si è chiusa la stagione che ha puntato a dividere il nostro campo e la società. Adesso serve una guida solida, competente, soprattutto capace di unire, Nord e Sud, le generazioni, chi ha bisogno e chi merito. Non usciremo dalla crisi peggiore della nostra storia senza riscoprire il senso dello stare assieme, qui e in Europa».

 

In altre parole meglio fare prima il congresso e poi le elezioni? Lei chi sosterrà al congresso?
 
«Sono tra i pochi ad aver chiesto il congresso perché trovo assurda la rimozione della sconfitta al referendum. Quella bocciatura ha liquidato una riforma, una stagione, una classe dirigente. Purtroppo si è scelto di rinviare una svolta necessaria. Nonostante ciò vedo aumentare le candidature in campo. Ho rispetto per tutti, è solo che mi piacerebbe vedere il campo. A Roma il 4 febbraio discuteremo anche di tutto questo».

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