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Dopo la Convenzione di Istanbul: le politiche di contrasto alla violenza e il nuovo piano nazionale

La relazione di Roberta Agostini, Coordinatrice Donne PD, all’incontro promosso dalle Democratiche per tracciare un bilancio sullo stato di attuazione della Convenzione di Istanbul e sulle politiche di contrasto alla violenza nel nostro Paese

Grazie per essere qui. Abbiamo convocato questo incontro nel solco del seminario che si è tenuto a Roma il 16 ottobre, come contributo all’avvio del percorso di rinnovo della nostra Conferenza. Vorremmo fare una riflessione sullo stato di attuazione della Convenzione di Istanbul, che è entrata in vigore il 1 agosto 2014, e, in generale, sulle politiche di contrasto alla violenza nel nostro Paese.

L’Italia ha avuto un ruolo importante nell’entrata in vigore della Convenzione.
E’ stato il primo grande Paese a sottoscriverla, però rimane, tra i grandi paesi europei, uno di quelli con gli indicatori peggiori per quanto riguarda la condizione delle donne.

Nella classifica redatta dal World Economic Forum, abbiamo guadagnato nove posti nella graduatoria sulla disparità di genere per merito di un miglioramento delle elette alla Camera e al Senato, ma rimaniamo al 71esimo posto su 136 paesi. Siamo collocati nella parte bassa della graduatoria per partecipazione alla vita economica (97esimo), al 72esimo per la salute e al 65esimo per la scolarizzazione.

Per questo, l’attuazione della Convenzione di Istanbul è una occasione fondamentale per far fare un passo in avanti al nostro Paese ed è una sfida per noi tutte perché ha una portata innovativa straordinaria.
E’ il più avanzato strumento giuridico di contrasto alla violenza a livello internazionale e disegna una strategia articolata che per noi rappresenta, appunto, una sfida: azioni precise di sostegno, prevenzione, punizioni del colpevole e, nello stesso tempo, rottura di stereotipi e cambiamento culturale, azioni concrete sul piano amministrativo ed istituzionale e sul piano del senso comune del Paese.

Riconoscere la violenza maschile sulle donne con un approccio politico e come una violazione fondamentale dei diritti umani, nel suo legame e nel suo intimo rapporto con il tema della parità tra i sessi e con la necessità di rimuovere discriminazioni, stereotipi e pregiudizi, non è affatto scontato per noi.
Non è lontano il tempo nel quale la violenza è diventata reato contro la persona da reato contro la morale o quello in cui abbiamo abolito l’attenuante del delitto d’onore.

Se ci guardiamo indietro, l’approvazione della Convenzione di Istanbul è un enorme passo avanti, ma se ci guardiamo intorno capiamo che abbiamo bisogno di un grandissimo impegno corale per promuovere quegli obiettivi di prevenzione della violenza, presa in cariLa relazione di Roberta Agostini, Coordinatrice Donne PD, all’incontro promosso dalle Democratiche per tracciare un bilancio sullo stato di attuazione della Convenzione di Istanbul e sulle politiche di contrasto alla violenza nel nostro Paeseco delle vittime e punizione dei colpevoli e per affermare quegli obiettivi di parità tra uomini e donne che sono strettamente intrecciati con il fenomeno della violenza, che affonda le sue radici in una situazione di disparità.

La Convenzione prevede una serie di obblighi di adeguamento degli stati firmatari: dalle politiche integrate (coinvolgimento della società civile, risorse, monitoraggio e raccolta dei dati) a quelle di prevenzione (formazione degli operatori, ruolo della scuola, dei media e delle istituzioni pubbliche in generale), a quelle di protezione e sostegno delle vittime (attivazione di centri antiviolenza, case rifugio, sportelli, numeri telefonici; misure per garantire l’autonomia delle donne, alloggio, sanità,…). Poi prevede tutta una serie complessa di misure e di azioni a tutela delle donne sul piano del diritto sostanziale, su quello di natura penale delle indagini e del processo, fino ad affrontare, negli ultimi capitoli, il problema del monitoraggio e del controllo delle politiche.

Con la legge 119 del 2013, quella cosiddetta sul femminicidio, abbiamo recepito alcune misure della Convenzione. Conosciamo tutte benissimo la fatica di quella discussione e le critiche che a quel testo sono state avanzate. Ma io penso che siano importanti ed utili molte previsioni in esso contenute – che dovrebbero essere monitorate dopo un anno dalla sua entrata in vigore – ed in particolare sottolineo l’importanza dell’articolo 5 e nel 5bis, che prevede la predisposizione di un piano nazionale antiviolenza da costruire con il contributo delle diverse amministrazioni, delle associazioni e dei centri antiviolenza. Per questo si sono istituiti sette tavoli di lavoro (la cosiddetta task force governativa) su diversi aspetti, che coinvolgono i ministeri interessati (da quello degli interni a quello della salute e molti altri).

Non è possibile, infatti, dare seguito agli impegni della Convenzione e della legge 119 senza una logica mainstreaming anche se proprio una logica mainstreaming avrebbe bisogno di un forte indirizzo politico e programmatico per essere perseguita. L’assenza di una ministra per le pari opportunità ha penalizzato fortemente questo lavoro di attuazione ed implementazione della Convenzione e noi siamo in ritardo. Continuo a ritenerlo un errore, anche se tutte noi investiamo sulla nomina di Giovanna Martelli, consigliera del presidente del consiglio per le pari opportunità, e lavoreremo con lei affinché la predisposizione del piano e delle politiche possa vedere la luce nelle prossime settimane.

So che ci sono state difficoltà nella condivisione dei documenti conclusivi e, per tanti aspetti, sembra che la spinta politica che ci aveva consentito di arrivare all’approvazione unanime della Convenzione di Istanbul si sia affievolita.
Io credo invece che oggi abbiamo una grande responsabilità nel rimettere questo lavoro sui binari giusti e nel rilanciarlo con forza e la discussione di oggi, alla quale abbiamo invitato anche le associazioni che sono impegnate sul campo, dovrebbe essere utile proprio a questo obiettivo.

Io credo che gli articoli 5 e 5bis della legge sul femminicidio siano il cuore delle questioni che abbiamo di fronte, perché solo perseguendo con forza la strada della costruzione di politiche di prevenzione e di accoglienza riusciremo ad annodare quella rete, anche territoriale, che ci consente di contrastare con efficacia il fenomeno.

Dobbiamo ripartire da qui: dalla definizione di un piano che contenga linee guida e standard di prevenzione, accoglienza e contrasto alla violenza su tutto il territorio nazionale. Sappiamo infatti che la frammentarietà delle politiche, la loro incertezza e debolezza in tante regioni e realtà territoriali è il problema che abbiamo di fronte.

In primo luogo iniziando da un monitoraggio efficace dei dati (di cui ci parlerà Linda Laura Sabbadini), che è uno degli impegni prioritari della Convenzione. Senza il monitoraggio dei dati e delle politiche, senza una analisi del fenomeno, non avremo neppure la giusta misura delle politiche e di una strategia che sia organica, che è fatta di passi coordinati:

– Dare certezza delle risorse, dei canali e dei criteri di finanziamento delle politiche;

– Sviluppare il ruolo della prevenzione e dell’informazione dei media e della scuola (educazione ai sentimenti e al rispetto. Anche gli insegnanti devono essere formati).

– Puntare sulla formazione: è ancora troppo basso il livello di consapevolezza della necessità di un approccio di genere nei servizi tra gli operatori sanitari, sociali, quelli della giustizia e le forze dell’ordine. Quali sono le risposte giuste che gli operatori sono tenuti a fornire? Quali sono le modalità ed i canali per la formazione? Chi fa cosa?

– E poi ancora: come si valorizza e si estende il lavoro di rete sul territorio, a partire da quello dei centri antiviolenza, delle case rifugio, delle associazioni, degli enti locali, dei presidi sociosanitari? Come si costruisce il percorso di presa in carico delle donne? Chi sono i principali attori, protagonisti e responsabili?

Per favorire l’emersione del fenomeno è necessaria la certezza dei percorsi e dei soggetti coinvolti.
E la Convenzione di Istanbul ci indica anche una strada, un metodo, che è quella del coinvolgimento, dell’ascolto e della trasversalità dei soggetti coinvolti, della valorizzazione delle politiche migliori, del mainstreaming.

Oggi abbiamo il Parlamento ed il Governo più rosa della storia della repubblica ed è una grande opportunità che non possiamo perdere per promuovere un punto di vista delle donne ed una soggettività femminile.

Senza questo sforzo culturale la battaglia contro la violenza sulle donne rientrerebbe nei ranghi della categoria dell’emergenza e “dell’ordine pubblico” dalla quale faticosamente si sta tentando di uscire in questi anni grazie al lavoro e all’impegno dei tanti luoghi diversi in cui le donne hanno portato la propria soggettività, dove hanno portato avanti la propria battaglia e che sono stati laboratori dove si è costruito e si costruisce un pensiero ed una pratica per concepire relazioni diverse ed un modo diverso di stare insieme per gli uomini e per le donne. Non solo risposte ad un bisogno, non solo lotta alle discriminazioni, ma un modo diverso di guardare al mondo per cambiarlo.

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