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Kyenge: “Giustizia per Pamela, può essere figlia di tutte noi. Ma mai rispondere violenza alla violenza: diventerebbe guerra civile”

Il primo pensiero è per Pamela. «Può essere figlia di tutte noi, chi l’ha uccisa deve pagare, senza guardare al colore della pelle».
Cécile Kyenge, europarlamentare del Pd ed ex ministro dell’Integrazione nel governo Letta, è il personaggio politico più bersagliato dalla violenza verbale dell’area xenofoba e non ha dubbi nel condannare la sparatoria di ieri come «un’azione criminale di stampo fascista», ma quando le chiedi cosa si debba fare ora il suo è un commento dolente, preoccupato. Che getta ponti.

Una ragazza uccisa, forse da un nigeriano, e un cecchino italiano che scende in strada e ferisce sei persone di colore. l’Italia è già un Far West?
Non deve esserlo. In cima alle nostre priorità ci deve essere la condanna assoluta dell’uccisione di Pamela Mastropietro e l’impegno a fermare ogni forma di femminicidio, a proteggere i più deboli, ma non possiamo diventare il teatro di guerra civile. Purtroppo, la situazione è di paura, una paura molto più generale di quel che si crede. Non si può rispondere a violenza con violenza e per evitarlo occorre ristabilire un concetto: un delinquente è sempre un delinquente, a prescindere dal colore della pelle. L’alternativa è la paura che stiamo vivendo e la cosa più grave è la strumentalizzazione che ne viene fatta.

Strumentalizzazione politica o mediatica?
Entrambe. Quando avviene un delitto che getta il sospetto su uno straniero si scatena una guerra perché vi è chi strumentalizza questo delitto e perché la popolazione viene lasciata nell’incertezza. Si fa un pessimo servizio, bisogna cambiare rotta. La storia ci deve insegnare che il razzismo non arriva da un giorno all’altro, ma perché si sottovalutano dei fenomeni importanti.

Qual è il ruolo dell’odio sui social media?
Serve una regolamentazione giuridica, perché ciò che non si può dire nel mondo reale non sia usato come un’arma nel web, nascondendosi dietro una tastiera. Ci stiamo lavorando molto, in Europa. Gentiloni ha parlato di una risposta severa.

Cosa si aspetta dal governo?
Serve qualcuno che ristabilisca la fiducia nel Paese: la paura ha raggiunto livelli molto alti ed urge un accompagnamento delle istituzioni. Immediatamente, è necessario che gli attori politici abbandonino i toni irresponsabili, indegni di un Paese che ha una Costituzione come la nostra, che ripudia il razzismo. Ma, poi, è necessario fare qualcosa di più: i cittadini hanno bisogno di una guida.

A cosa pensa esattamente?
Il prossimo governo deve avere il ministero dell’integrazione: il Paese si sta trasformando sotto i nostri occhi e urge una governance. Il Viminale fa il suo mestiere, ma occorre un ministero per prevenire i conflitti e un piano strategico per integrare chi arriva sul territorio, sia in modo temporaneo sia per una lunga durata.

Se la sentirebbe di lavorare con Forza Italia?
È un possibile interlocutore: oggi serve una presa di coscienza rispetto al futuro dell’Italia e dell’Europa e si può raggiungere con chi ha a cuore la cittadinanza europea. L’Italia ha bisogno di governanti che sappiano gestire in modo responsabile un fenomeno migratorio che non si ferma solo perché qualcuno dice che dobbiamo chiudere le frontiere.

Salvini sostiene che episodi come quello di Macerata sono la conseguenza dell’apertura delle frontiere.
La smetta di strumentalizzare. Quando si votavano le modifiche al regolamento di Dublino che aiutano l’Italia a non essere più sola nel fronteggiare le migrazioni, i suoi alleati erano in Aula a votare con noi, e abbiamo votato insieme. Ma lui era assente.

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