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Amendola: L’Europa è alla prova della seconda ondata del Covid, servono serietà e coesione tra istituzioni non a parole ma nelle scelte

Un nuovo lockdown nazionale? “Faremo di tutto per escluderlo, ma se sarà necessario ci assumeremo l’onere della scelta”, ci dice il ministro agli Affari Europei Enzo Amendola in questa intervista, all’indomani per primo punto di aggiornamento tra i leader europei sulla nuova ondata di pandemia. In auto-isolamento a casa per essere entrato in contatto con una persona positiva al covid, Amendola ammette che i fondi del recovery fund sono in ritardo, ma avverte Polonia e Unghiera, stati in infrazione per violazione dello stato di diritto: “Non possono prolungare il braccio di ferro e ritardare le ratifiche”.

E aggiunge: ”È evidente che andranno valutati l’impatto della seconda ondata sui bilanci e l’adeguatezza degli strumenti disponibili, incluso il Mes”. Sullo scontro tra Parigi e Ankara e la nuova scia di attentati in Francia: “Erdogan aizzava da giorni le piazze dell’Islam politico contro Macron, tanto che qualche lupo solitario ne ha tirato folli conseguenze…”.

Ormai è chiaro: il recovery fund sarà operativo a febbraio, se va bene. Le trattative tra presidenza tedesca e Parlamento europeo andranno avanti anche a novembre alla ricerca di un accordo che non sembra a portata di mano. E poi gli Stati membri dovranno ratificare… Qual è la sua previsione su quando l’Italia potrà disporre di questi fondi europei?

Siamo alle battute finali di un negoziato complesso. Il Parlamento europeo ha avanzato richieste legittime di più fondi sul Bilancio Ue ’21-’27 mentre il Consiglio difende l’equilibrio trovato a luglio. La Presidenza tedesca, che sosteniamo, ha individuato punti di compromesso che ora andranno tradotti in un’intesa tecnica. Questa settimana non è arrivata la svolta attesa, ma siamo vicini. Sono fiducioso che troveremo presto un‘intesa e potremo così avviare le ratifiche nazionali entro fine anno. Siamo tutti nella tormenta della seconda ondata di Covid e vedo un grande senso di responsabilità da parte di tutti.

Di chi è la responsabilità dei ritardi? In fondo gli Stati potevano iniziare le ratifiche già a settembre e non l’hanno fatto. Ora sono pronti a dare la colpa al Parlamento che vuole solo migliorare l’accordo di luglio.

Non si tratta di dare la colpa al Parlamento o ad alcuni Stati membri. Le ratifiche non partiranno sino a che i due negoziati sul budget e sulla condizionalità sullo stato di diritto non verranno conclusi. Il secondo mi pare più spinoso poiché l’Europa ha adottato procedure finora poco efficaci. Con la Presidenza tedesca stiamo lavorando a nuovi strumenti, ma gli Stati sotto procedura d’infrazione (Ungheria e Polonia) non possono prolungare il braccio di ferro e ritardare le ratifiche. Non è un rimpallo di responsabilità: l’accordo di luglio va negoziato col Parlamento, ma una volta concluso nessuno può più perdere tempo. Di fronte alle scene che arrivano dalle piazze europee in queste ore saremmo considerati dei marziani.

Tradotto in esborsi: il 10% che potrebbe essere pagato immediatamente attraverso ReactEU sarà ritardato. Questo dà forza alle ragioni che invocano il Mes?

Le voci del bilancio relative al Next Generation EU non saranno toccate dai negoziati, così come la loro distribuzione per paesi, a partire da alcune voci come ReactEU. Il percorso delle ratifiche nei Parlamenti potrebbe causare ritardi nei primi esborsi, ma sul resto i tempi di marcia procedono come previsto. Dopo le ratifiche la Commissione emetterà titoli sui mercati, i tanto invocati bond targati Ue. Voglio sottolineare per altro il successo dell’emissione dei bond per Sure, che testimonia la fiducia dei mercati sulla capacità di ripartenza dell’Europa.
È evidente tuttavia che andranno valutati l’impatto della seconda ondata sui bilanci e l’adeguatezza degli strumenti disponibili, incluso il Mes.
Ma aggiungo: dopo le parole della presidente della Bce Lagarde e i dati economici che leggeremo a novembre, chi pensava di riportare Bruxelles allo status quo ante farà bene a cambiare piani. Siamo nella tempesta e il Next Generation a questo punto deve essere il primo tassello di una strategia completamente nuova.

La nuova ondata di Covid ha sconvolto i leader europei, colti impreparati dalla nuova emergenza. Dove si è sbagliato? Forse nel privilegiare solo la risposta economica alla crisi senza coordinare bene test, tracciamenti

Non c’è nessun Paese che non ha commesso errori. Il Covid è un nemico insidioso, sfuggente e in parte ancora misterioso. Siamo riusciti ad arginarlo per qualche mese, ma ce ne libereremo soltanto con una cura medicinale e alla fine col vaccino. Siamo però a un cambio di paradigma: mesi fa la salute era un ambito da “sovranità nazionale”, ognuno se la sbrigava da sé. Oggi stiamo ragionando invece di una sanità europea, perché nessuno si salva da solo.
Al contempo capisco la rabbia di chi deve subire nuove chiusure. È importante che chi fa sacrifici per garantire la salute di tutti sia sostenuto da misure economiche adeguate. Il “decreto ristori” va in questa direzione. Ma sono anche certo che abbiamo le risorse per ripartire, come dimostra il rimbalzo della nostra economia nel terzo trimestre.

L’Europa sembra in impasse: le elezioni americane possono essere un momento di chiarezza internazionale e dunque di ripartenza? Come?

L’Europa è il gigante gentile. Siamo una superpotenza non solo economica, ma soprattutto culturale e valoriale: democrazia, libertà, solidarietà. Lo ricordo sempre: è una vittoria europea se, quando il vaccino sarà pronto, sarà universale, disponibile per tutto il pianeta. Gli Usa sono più di un partner: condividiamo gli stessi valori e un’alleanza che non è solo strategica, ma molto più profonda, indipendentemente da chi c’è alla Casa Bianca. Nel frattempo l’Europa si è messa in movimento e ha cominciato a disegnare una sua autonomia strategica.

Quanto una vittoria di Biden cambierebbe i rapporti transatlantici, visto che secondo molti analisti la politica Usa di ‘decommissioning’ dagli scenari globali non cambierà molto anche in caso di vittoria dei Democrats?

Dobbiamo smettere di banalizzare le dinamiche della politica americana riducendole a caricatura o piegandole alla nostra visione eurocentrica. Sono un progressista, è evidente che ho le mie idee. Ma chiunque sarà eletto presidente avrà il nostro rispetto e sostegno. Senza Europa gli Usa sono più deboli e, senza gli Usa, l’Europa non può continuare a crescere. Il rapporto transatlantico sarà fondamentale per garantire una ripresa globale e rafforzare le difese contro future minacce. Andranno anche riesaminate le cause della pandemia. Lo faremo insieme alla Cina e senza mettere nessuno sul banco degli imputati, ma con la consapevolezza che gli errori fatti alla fine dell’anno scorso hanno lacerato il tessuto multilaterale. Far tornare la fiducia reciproca non sarà automatico.

Lo scontro Macron-Erdogan ci dice molto delle divisioni in Europa. Contro la Turchia, l’Europa implora il dialogo, ma non riesce a decidere sanzioni.

I leader europei ieri hanno ribadito che gli attacchi terribili come quelli a Samuel Paty e di Nizza sono diretti contro i nostri valori fondamentali. Concordo con il direttore Mattia Feltri: sui presupposti dell’identità europea non si tratta. Dobbiamo affermare con nettezza che in Europa non c’è spazio per il terrore e il fondamentalismo. Non dobbiamo mai smettere di cercare il dialogo, che non significa debolezza, ma è l’unica strada per confermarsi una società aperta e tollerante che non alimenta pericolose divisioni. Smettiamola però di guardare solo con la lente degli scambi commerciali alle vicende politiche di altri paesi o alla propaganda di leader come Erdogan, che aizzava da giorni le piazze dell’Islam politico contro Macron, tanto che qualche lupo solitario ne ha tirato folli conseguenze. Non ci sarà un nesso causale, ma per vincere il terrorismo islamista bisogna prosciugare le paludi dell’odio.

Politica italiana: la nuova ondata di covid mette a dura prova anche il governo Conte, che finora poteva esibire il risultato ottenuto sul recovery fund. Rimpasti in vista? Governi di unità nazionale con l’opposizione?

Le faccio una confessione: con i tecnici di Palazzo Chigi e del Mef siamo totalmente concentrati sul Recovery italiano, che assorbe tutte le nostre energie. Non riesco a seguire i retroscena e tutta la letteratura su governi e rimpasti. Trovo che giocare al “gioco dei troni” sia un’enorme mancanza di rispetto per la situazione italiana e per chi sta soffrendo. Ci vuole un po’ di coerenza: non si può ripetere “coesione”, come dice il Presidente Mattarella, e un attimo dopo produrre un’alluvione di dichiarazioni e penultimatum. Qui siamo tutti di passaggio e nessuno è attaccato alla poltrona. C’è una sola priorità: portare l’Italia fuori dalla seconda ondata il prima possibile e mettersi al lavoro per la ripresa.

Lockdown in Italia: è il caso di deciderlo? Conte non sta prendendo troppo tempo prima di agire con una stretta più sostenuta?

Lockdown sì o Lockdown no: molti ne parlano come se fosse il televoto di un reality show. È una scelta dolorosa, molto difficile da prendere, che va fatta non sulla base dell’emotività o sul numero di tweet, ma sui dati scientifici e sui pareri autorevoli del Cts. Noi dobbiamo fare di tutto per escluderlo, ma, se sarà necessario, ci assumeremo l’onere della scelta, così come abbiamo fatto a marzo. In fondo è il ruolo della Politica: prendere le decisioni migliori nelle condizioni date.

 

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