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ArcelorMittal, Boccia: “Sì allo scudo, no ai ricatti. Inaccettabili 5 mila esuberi”

«Gli amministratori straordinari dell’Ilva, Taranto, i lavoratori e il governo hanno subito una iniziativa giudiziaria unilaterale di ArcelorMittal per recedere dal contratto. Abbiamo reagito come era giusto, con gli strumenti della politica e con quelli che la legge consente, a partire dal ricorso d’urgenza ex articolo 700. Poi i commissari hanno fatto quello che era giusto per impedire il piano di dismissione e spegnimento dei forni. Con la schiena dritta e le maniere forti abbiamo indotto ArcelorMittal a ragionare», dice il ministro degli Affari regionali, Francesco Boccia, pugliese.

 

Col gruppo franco-indiano la partita non è chiusa?

«Fino all’ultimo, se tornano indietro e rispettano gli impegni, il negoziato si riapre. Ma una cosa deve essere chiara. Nessuno, né ArcelorMittal né altri che intervenissero nell’amministrazione straordinaria possono pensare di puntare una pistola alla tempia del Paese: 5 mila esubeni, la riduzione della produzione di acciaio a 4 milioni di tonnellate, lo spegnimento dei forni e il mancato pagamento dei fornitori sono state scelte gravi e sulle quali non si può negoziare».

 

Il governo nega la crisi del mercato dell’acciaio?

«Se una multinazionale così importante sbaglia previsioni fatte appena un anno fa, allora non sa fare il suo mestiere. Ma a guardare i loro bilanci, invece, sanno farlo. È evidente, come avevo segnalato all’origine, che ArcelorMittal non ha mai voluto sposare fino in fondo l’Italia. Se compri Taranto e Genova fai un matrimonio e investi. E se c’è una congiuntura sfavorevole investi ancora di più».

 

Il governo è pronto a ripristinare lo scudo penale per i manager?

«Certo, ma in un quadro generale di misure che consentano all’azienda di avere una prospettiva. Non accettiamo il ricatto di chi ha detto che anche con lo scudo ci sarebbero 5 mila esuberi».

 

È escluso che di essi possa farsene carico lo Stato?

«ArcelorMittal ha vinto la gara per l’Uva garantendo questo livello di occupazione, senza ulteriori esuberi. Non è serio cambiare in corsa le regole del gioco».

 

Neppure se cambiano le condizioni del mercato?

«ArcelorMittal deve ancora dimostrare di voler investire su Taranto. Lo Stato gli ha affittato per due anni un’azienda che aveva magazzino e perdeva meno di quanto oggi dice di perdere. Faccio fatica a credere che i loro manager siano meno capaci degli amministratori straordinari, con tutto il rispetto per questi ultimi. Il governo, comunque, è pronto a fare la sua parte».

 

Come?

«Giovedì (domani, ndr) stanzieremo in Consiglio dei ministri risorse per la città e l’intera area. Tutti i ministeri interessati hanno preparato proposte. A quel punto avrebbe senso discutere tutto il resto: per esempio, se l’azienda volesse finanziare la transizione ecologica investendo sulle nuove tecnologie e i centri di eccellenza, a partire dal Politecnico di Bari. Invece, finora abbiamo percepito solo diffidenza e ostilità».

 

C’è un piano B, se la partita con Arcelor non si riaprirà? Possibile una nazionalizzazione temporanea?

«Fino all’ultimo lavoreremo per far sì che quest’incubo finisca e si rispetti l’accordo. Se dovesse finir male toccherà tornare all’amministrazione straordinaria, che è di fatto una nazionalizzazione temporanea. Quando fallisce il mercato ho sempre pensato che l’intervento pubblico sia un passaggio obbligato. Sull’acciao non si scherza.

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