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Baretta: “Abbiamo fatto passare il principio dell’indennizzo agli azionisti truffati”

Un bacio, che cos’è mai un bacio? Si chiedeva il Cyrano di Edmond Rostand, senza pensare che qualche secolo dopo, un bacio si sarebbe potuto rivelare una solenne fregatura. Lo sanno gli azionisti delle banche venete che con le cosiddette operazioni baciate ci hanno rimesso fior di quattrini. Con quel nome, infatti, s’intendono i finanziamenti concessi ai clienti che accettavano di restituire una parte dei soldi comprando azioni della banca stessa, così da alterare i ratios patrimoniali simulando una solidità solo apparente. Per quei clienti, per così dire baciati, che hanno perso i loro soldi il governo ha predisposto, nel maxi emendamento alla legge di Bilancio, un ristoro attraverso un fondo che avrà una dotazione iniziale da 50 milioni. Come funzionerà lo spiega a MF-Milano Finanza il sottosegretario all’Economia Pierpaolo Baretta.

«Dopo la risoluzione delle quattro banche decisa a fine 2015 e dopo la crisi delle due banche venete, avevamo messo in campo meccanismi di ristoro che riguardavano però solo gli obbligazionisti. Nel primo caso con una copertura all’80% e nel secondo eravamo arrivati fino al 100% dell’investimento. Una misura di solidarietà per le fasce di investitori più deboli e quindi più colpiti dal disastro finanziario, quelli cioè che avevano un reddito non superiore a 35 mila euro o un patrimonio non superiore a 100 mila euro. E a conti fatti la misura ha funzionato visto che le adesioni sono arrivate al 70%. Il problema è che erano rimasti fuori del tutto gli azionisti».

Gli azionisti non venivano coperti nemmeno prima dell’introduzione del bail-in.
«In linea di massima è così. Ed è anche giusto che lo sia, perché l’azione è sempre un investimento a rischio e l’investitore lo sa. Però, come sta emergendo chiaramente anche dai lavori della commissione d’inchiesta parlamentare, nel caso di queste banche c’è da considerare che molti investimenti sono stati indotti in maniera truffaldina da chi gestiva gli istituti. Insomma, non si può dire che ad essere truffati siano stati solo gli obbligazionisti e quindi davanti alla truffa cade anche ogni valutazione sul tipo di rischio connesso all’investimento».

Cinquanta milioni in due anni, però, le sembra una cifra sufficiente a coprire tutti i truffati?
«E la cifra di partenza necessaria ad attivare il fondo. Non escludo che lo Stato possa decidere poi di mettervi di più, ma certo non può coprire tutto, sarebbe come deresponsabilizzare le banche stesse. Non vogliamo far passare l’idea che se c’è mala gestio paga lo Stato. Il danno lo hanno fatto le banche e devono essere coinvolte nei processi di ristoro e rimborso, non a caso le risorse le abbiamo prese da una lato dai fondi dormienti e dall’altro dal fondo di garanzia e da quello interbancario. Insomma il sistema deve essere corresponsabilizzato. Intesa, per esempio, nel momento in cui ha rilevato le due venete a 1 euro ha messo a disposizione 100 milioni per ristorare i danneggiati che hanno deciso di rimanere clienti. Non erano obbligati a farlo ed è stato un bel gesto. Noi abbiamo messo 50 milioni, ma soprattutto abbiamo fatto passare il principio che un azionista truffato ha diritto a un ristoro».

Chi potrà chiedere il rimborso?
«Per avere diritto al ristoro bisognerà presentare una sentenza di un giudice o la decisione di un arbitro che attesti l’avvenuta truffa. È la procedura che abbiamo seguito con gli obbligazionisti delle quattro banche, per i quali l’arbitraggio è stato affidato all’Anac, l’Autorità anticorruzione. Ma c’è anche a disposizione la figura dell’arbitro finanziario bancario. Anche a esso potranno rivolgersi gli azionisti che si siano sentiti truffati».

La sentenza è l’unica condizione necessaria?
«Ovviamente no, come per gli obbligazionisti bisognerà fissare un tetto patrimoniale o di reddito, perché non possiamo ristorare tutti e per qualsiasi cifra. Io, per esempio, sono per privilegiare chi si trova in condizioni disagiate. Si tratta di ragionamenti delicati, che devono tenere conto anche delle normative europee. Bisogna evitare ad ogni costo che la misura venga classificata come aiuto di Stato, per questo abbiamo stabilito che il regolamento verrà varato con un decreto ministeriale entro sei mesi dall’approvazione della legge di Bilancio. E nel prepararlo ci confronteremo con i rappresentanti degli azionisti e dei risparmiatori e anche con le banche. Come del resto abbiamo fatto in questi anni. Un confronto anche dialettico e in qualche caso pure ruvido, ma che ha portato a dei risultati indiscutibili».

Faccio l’avvocato del diavolo, ma perché lo Stato dovrebbe rimborsare gli azionisti delle banche?
«In primo luogo e l’ho già detto, perché stiamo parlando di persone che hanno subito una truffa, un’ingiustizia. Poi c’è l’aspetto sociale, che abbiamo anch’esso già trattato, ci sono persone che hanno perso tutto o gran parte di quello che avevano e ora rischiano l’indigenza. E infine c’è l’aspetto economico generale, a cui il governo non può restare indifferente. Ad essere colpite sono state decine di migliaia di persone, molto concentrate in alcuni territori. Una distruzione di ricchezza che ha colpito aree importanti per il tessuto produttivo. Rimediare ai danni o almeno ridurli significa sostenere l’economia di quelle regioni».

Ai tempi del crac dell’Ambrosiano, Giovanni Bazoli e il vertice del nuovo banco decisero di concedere dei warrant ai vecchi azionisti, che hanno potuto così rientrare in parte delle loro perdite e sui tempi lunghi addirittura guadagnarci, trovandosi ad essere azionisti di una banca risanata e poi, negli anni, del primo gruppo bancario nazionale. Perché non fare lo stesso?
«Le nuove banche sono soggetti privati a cui il governo non può imporre una ricetta, ma io sarei favorevolissimo a una soluzione del genere, che servirebbe anche a far tornare la fiducia verso il sistema bancario. Lo Stato la sua parte l’ha fatta e la sta facendo ancora. Le banche sono state salvate e i risparmiatori stanno avendo o avranno in tempi ragionevoli dei rimborsi, sarebbe saggio che anche le banche adottassero tutte le misure necessarie a far tornare fiducia nei clienti. La strada dei warrant è una di queste».

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