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Baretta: “Dalla revisione delle aliquote più basse alla nuova no tax area, ecco l’Irpef del futuro”

Col tono di chi non s’entusiasma davanti alle proposte troppo ardite, dice che “quando si parla di fiscalità, è più prudente usare il bisturi, che non il machete”.

Lo dice, Pier Paolo Baretta, “in riferimento sia alle tax expenditures, sia sulle clausole di salvaguardia dell’Iva”. I due pilastri, cioè, di quella riforma dell’Irpef di cui il renziano Luigi Marattin ha voluto inaugurare il cantiere proprio sul Foglio e che costituirà, a giudizio del sottosegretario all’Economia del Pd, “un compito che ci terrà occupati per tutto l’anno. Con una tabella di marcia precisa: una legge del Parlamento entro Pasqua, che dia al governo la delega di agire per riformare l’Irpef entro San Martino, cioè in vista della legge di Bilancio”.

Sempre che, ovviamente, una vittoria della Lega in Emilia Romagna, domenica prossima, non arrivi a far abortire l’ambizioso progetto.

“Non succederà spiega il sottosegretario al Mef sia perché l’Emilia è l’Emilia, e per quanto importanti possano essere, le elezioni a livello locale non possono ogni volta mettere in discussione il governo centrale, altrimenti s’ingenera una paralisi pericolosa per il paese. Ma soprattutto non succederà perché vincerà Stefano Bonaccini, e dunque l’effetto politico che ne conseguirà sarà un rafforzamento del piano di riforma dell’Irpef'”. Che Baretta immagina “sostanzioso”, innanzitutto in termini di risorse.

“Dove si trovano? Fondamentalmente da tre voci: lotta all’evasione, riduzione delle tax expenditures e aumento selettivo delle aliquote Iva”. Non dall’abolizione di quota 100? “Si tratta di una riforma che andrà a morire nel 2021 e che creerà la necessità di una forte flessibilità in uscita. Quindi, quel che si risparmia su quota 100, lo lascerei sulla previdenza, a finanziare le nuove esigenze di welfare, e cioè il fondo per la non autosufficienza degli anziani e quello sulla natalità”.

Non resta poco, allora? “Non direi. La prossima legge di Bilancio non sarà condizionata, com’è stata quella di quest’anno, dall’esigenza politica di sterilizzare tutte le clausole. Io credo che si debba abbassare l’Iva sul carrello della spesa, e alzarla sulle spese voluttuarie. E almeno su cosa è necessario e cosa non lo è, ai fini di un’esistenza dignitosa, credo che troveremo un accordo. Poi ci sono deduzioni e detrazioni, che vanno certamente ridotte, ma non falcidiate, come alcuni sostengono. Bisogna garantire sgravi per le domande di welfare non comprimibili, come quelle legate all’anzianità media crescente della popolazione, e confermare quelle misure di recente introduzione, come il cashback, funzionali a dare continuità e coerenza nella lotta all’evasione”.

Dopodiché? “Tutto quanto risparmiamo dalla rimodulazione di Iva e tax expenditures va investito nell’abbattimento delle due aliquote per i redditi più bassi. Un’operazione che, ribadiamolo, comporta un vantaggio implicito anche per i redditi più alti”.

Il M5s predica la riduzione del numero degli scaglioni, da cinque a tre. “Quello può essere l’esito della riforma, non la sua premessa. Così come la discussione su una eventuale ‘no tax area’ per i ceti più bassi. Discutiamone, tenendo conto che però, esentandoli dall’Irpef, gli incapienti non potrebbero più usufruire di detrazioni e deduzioni. Ma quello degli incapienti è un problema reale, che non siamo riusciti ad affrontare né in Finanziaria né col taglio del cuneo fiscale, e che solo in parte viene risolto dal reddito di cittadinanza”.

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