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Dell’Aringa: “Sulla disoccupazione giovanile serve una terapia d’urto”

Carlo Dell’Aringa, docente di Economia Politica all’Università Cattolica (già presidente Isfol e sottosegretario al Lavoro) condivide l’obiettivo che si pone il governo con la legge di Bilancio per il 2018, ovvero intervenire sulla piaga della disoccupazione giovanile con una nuova forma di incentivi mirati. Anche se non andrebbe persa di vista, ammonisce, la vera priorità: «Il completamento di quelle riforme strutturali nel mercato del lavoro, a partire dalle cosiddette “politiche attive”, la cui debolezza concorre a determinare il nostro gap con il resto d’Europa». In tal senso potrebbero avere un ruolo determinante sia l’Anpal, la nuova Agenzie per le politiche attive del lavoro inizialmente concepita nell’ipotesi che i Centri per l’impiego venissero riportati “dalla periferia al centro” sia l’Inpal, l’Istituto di analisi delle politiche pubbliche che sostituisce l’Isfol».
 
Perché le politiche attive sono così importanti?
 
«Le imprese italiane continuano a manifestare resistenze ad assumere giovani perché da un lato non trovano competenze, dall’altro richiedono già esperienza che degli under 30, per come è strutturato il nostro sistema formativo, non possono avere. Una sorta di circolo vizioso che solo un utilizzo pieno e armonico di tutti gli strumenti a disposizione, dall’apprendistato all’alternanza scuola-lavoro, dalla Garanzia a centri per l’impiego realmente capaci di far incontrare domanda e offerta può interrompere. Mi rendo conto che interventi strutturali di questo tipo hanno bisogno di tempo per essere efficaci; nell’attesa, dunque, una terapia d’urto si rende necessaria».
 
Individuato il target, i giovani, da cosa partire per predisporre il protocollo di cura?
 
«Da quello che ha funzionato negli ultimi anni. E la decontribuzione ha funzionato, favorendo almeno mezzo milioni di assunzioni. Ma l’intervento risulterà efficace solo a due condizioni: deve essere sostanzioso, non limitarsi cioè a uno o due punti del cuneo, ed essere snello: poca burocrazia, poche carte da compilare».
 
C’è chi obietta tuttavia che un nuovo incentivo di per sé risulterebbe già una complicazione in più, considerata la selva di opzioni fiscali che caratterizza il nostro mercato del lavoro.
 
«Di certo è necessario disboscare, trenta diversi sgravi sono troppi. E concentrarsi, ripeto, su quello che finora ha funzionato: misure consistenti e “facili”».
 
Tale è statala decontribuzione pari a 8.100 euro senza alcuna distinzione anagrafica. Ma è stata utilizzata “a tempo” e solo per i neo-assunti.
 
«Gli incentivi dovrebbero restare mirati, ma non “secchi”, per due o tre anni. Dovrebbero poter continuare».
 
L’idea, stando alle prime indicazioni, sarebbe quella di agevolare le assunzioni under 29. Giusto mettere un tetto?
 
«Sarebbero preferibili opzioni morbide, sia per la durata, non solo due o tre anni, sia riguardo l’età. Andando magari a scalare con l’entità degli sgravi e cioè modulandoli».
 
Ma in questo modo non si toglie lavoro ai più “anziani”?
 
«L’effetto sostituzione è proprio quello che vogliamo. Il nostro dramma è una disoccupazione giovanile oltre il 35% contro una media europea al 18%. Giusto che le politiche del lavoro, che hanno portata limitata, si concentrino su questa disparità strutturale con un colpo di frusta. Il tasso generale è invece poco sopra 1’11% contro una media Ue poco sopra i19%, e per riallinearlo servono anche le politiche economiche».

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