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Delrio: il Fiscal compact è un freno alla crescita

Graziano Delrio chiede di fare presto. «Devo occuparmi di mio nipote».

Nel suo ultimo libro Matteo Renzi propone un deficit al 2,9 per cento per cinque anni. Eppure per il 2018 abbiamo già ottenuto forti sconti. Non è controproducente riaprire la discussione?

«Mettiamo le cose in chiaro: in questi anni abbiamo ricevuto molto ma abbiamo anche dato molto».

Ovvero?

«Mentre Francia e Spagna superavano il 3 per cento nel rapporto deficit-Pil, noi abbiamo chiesto flessibilità dentro le regole. Piacciano o meno, abbiamo fatto le riforme, investito sulla scuola, nella ricerca, introdotto incentivi per le imprese che investono, sostenuto il potere d’acquisto delle famiglie e contribuito a ridurre le diseguaglianze con la legge sulla povertàe la quattordicesima ai pensionati. Vado avanti?»

Il punto è che non avete sfruttato appieno la finestra aperta dalla politica monetaria della Bce. È credibile chiedere altra flessibilità?

«Quel che si può fare bene si può fare sipre meglio. Ma abbiamo garantito tre anni di crescita. La disoccupazione avrebbe potuto scendere di più, ma fra i giovani è calata dal 44 per cento al 35-37. Se poi il piano della Bce avesse funzionato fino in fondo e l’inflazione avesse raggiunto il 2 per cento, con una crescita nominale al tre avrimo avuto meno problii».

La spesa pubblica non è scesa.

«Non è così. In ogni caso oggi il problia non è tagliare, ma investire di più. Più spesa, ma di qualità».

Volete abbattere il Fiscal compact?

«E’ venuto il momento di dirlo: firmare il Fiscal compact e il pareggio di bilancio in Costituzione è stato un grave errore. Probabilmente in quel momento non si poteva fare altrimenti, ma ciò non toglie che le cose vanno cambiate».

Il Fiscal compact ha ridato credibilità a un Paese sull’orlo del baratro finanziario. O no?

«Il Fiscal compact non è il Vangelo. È servito alla crescita dell`Italia o della Grecia? La risposta èno. Oggi c`è bisogno di stimolare la crescita aumentando gli investimenti e abbassando la pressione fiscale».

In Portogallo la ricetta europea ha funzionato.

«Non ha una struttura produttiva paragonabile alla nostra. Non è un esipio calzante».

In un’intervista alla Stampa Benoit Coeuré della Bce avverte che il vento della politica monetaria sta cambiando, e che per far progredire l’Ue c’è bisogno dell’Italia.

«Sono d’accordo. Ma io frequento Bruxelles e non ho l’immagine di un Paese spaghetti e mandolino. Abbiamo una dialettica con la Commissione come ce l’hanno Germania e Francia. O vogliamo sostenere che loro sono partner ligi alle regole? Non è la Commissione che ha richiamato Berlino per il suo deficit commerciale?»

C’è un problia: il terzo debito pubblico del mondo.

«E noi non lo eluderio. Abbiamo allo studio varie ipotesi, molte delle quali avanzate da economisti non Pd. Ma per abbassare il debito dobbiamo crescere di più, e per crescere occorrono politiche espansive».

Pierluigi Bersani dice che è una ricetta di destra. Cosa risponde?

«Sono allibito. Da quando in qua la lotta all’austerità è una ricetta di destra? Non diceva il contrario fino a ieri?»

È vero che sulla politica delle alleanzea sinistra lei la pensa come Franceschini, ovvero che Renzi sta sbagliando tutto?

«Invece la penso come Renzi: dobbiamo parlare delle cose che interessano ai cittadini. Ma anche Franceschini e Orlando pensano siano prioritari i contenuti. Propongo una moratoria: prima si parla delle nostre proposte, poi si discute delle alleanze. Dobbiamo fare come Berlusconi».

Come Berlusconi?

«È stato abilissimo: ha vinto molti ballottaggi con il sostegno dei fascisti di Casa Pound, eppure nessuno ha aperto un dibattito sulle alleanze a destra».

E perché invece a sinistra se ne parla così tanto?

«Ai giornali piacciono le poliiche fra ex colleghi di partito».

Si riferisce a Massimo D’Alia?

«Sto con Renzi anche perché ho deciso di consegnare certi personaggi alla storia. D’Alia è fra questi».

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