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Bellanova: “Se l’Ilva chiude, nessun risanamento sarà possibile. Avremo una nuova Bagnoli”

Viceministro Bellanova, è ottimista circa la ripresa del dialogo per il futuro dell’Uva? Non teme che l’irrigidimento della Regione Puglia possa impedire la positiva conclusione della trattativa?
«Stiamo lavorando perché il dialogo possa riprendere con la discussione su Piano Industriale e Ambientale. Ovviamente se ci dovesse essere la sospensiva noi ci troveremmo nella complicatissima condizione di un fermo della produzione, un danno enorme. La priorità è determinare le condizioni perché la produzione non si blocchi. La trattativa ha senso, è evidente, se l’azienda è produttiva, se c’è. Non io, ma le parti sociali che conoscono l’Ilva come le loro tasche hanno messo in guardia dal rischio gravissimo di un blocco».

La ripresa del confronto con la cordata più vicina all’acquisto è subordinata comunque alla decisione del Tar?
«Con l’azienda il confronto può proseguire e sono fiduciosa in questo senso. L’invito alle Istituzioni a ritirare il ricorso, mi riferisco evidentemente alla Regione Puglia e al Comune di Taranto, è legato al rischio che, dinanzi ad una sospensiva decisa dal Tar, l’acquirente possa giovarsi del diritto a recedere. Negli incontri AM I ha sottolineato l’interesse ad un confronto il cui obiettivo è anche quello di individuare soluzioni migliorative, facendo tesoro delle competenze esistenti in loco. Lo considero un avvio positivo e, mi creda, di tavoli di trattativa ne ho visti a centinaia…».

Qual è l’obiettivo del governo? Si riesce a coniugare fino in fondo l’esigenza di rilanciare la produzione senza fermarla e di garantire il rispetto degli standard di sicurezza ambientale?
«L’obiettivo del governo è evidente: far ripartire la trattativa. Quella con le parti sociali e quella con le Istituzioni. Sbaglia assolutamente, me lo lasci dire, chi pensa che in quest’ultimo caso si sia trattato di un contentino. Non è assolutamente così. Noi abbiamo lavorato, in questi armi, per affermare il paradigma che salute e lavoro non sono, e non possono essere, conflittuali e inconciliabili. Il DPCM è di molto migliorativo proprio in questa direzione. Parliamo di un investimento di oltre cinque miliardi di euro, di cui oltre la metà destinati all’ambientalizzazione. Non è un caso, peraltro, se proprio in sede di trattativa avevamo raggiunto l’intesa per anticipare la copertura dei parchi da gennaio 2018e poter completare il lavoro entro 36 mesi. Non mi stancherò mai di ripeterlo: nessuno si illuda che se l’Ilva chiude ambientalizzare sarà possibile. Ci ritroveremmo con un’altra Bagnoli, anzi peggio, molto peggio. Un rischio enorme, devastante, che Taranto non può permettersi il lusso di correre. Chi oggi pensa di salvaguardare il futuro di Taranto osteggiando la trattativa rischia di essere il peggior nemico del futuro della città».

I sindacati chiedono la ripresa del confronto ma la Cgil pone qualche paletto in più. È preoccupata, visto che il sindacato della Camusso ha preso le distanze da fila e sulle pensioni?
«Le organizzazioni sindacali sono compatte, sia nella discussione al tavolo che nel chiedere il ritiro del ricorso. È un punto importante, dovrebbe far riflettere. Naturalmente al tavolo della trattativa ciascuno ha la sua posizione. E questo è un bene, perché non sono posizioni preconcette ma l’esito di un sapere fondamentale che coincide con quelle professionalità che hanno fatto dell’Ilva una delle più grandi fabbriche del mondo. Saperi e competenze preziosissime se pensiamo non solo alla difesa dello status quo, ma al suo rilancio in chiave mondiale. Il resto attiene alla normale dialettica tra parti sociali e Governo. E la distanza sulle pensioni non è un elemento di contagio rispetto alla trattativa».

Che peso ha il caso Ilva sul futuro del Mezzogiorno e in particolare delle politiche industriali per il rilancio del Sud?
«L’Ilva è una questione nazionale. La produzione dell’acciaio è una questione nazionale e la sua difesa è la difesa di un segmento strategico per il nostro sistema-paese. C’è una dorsale di pmi d’eccellenza che per produrre ha bisogno di acciaio e di acciaio di qualità. Continuare ad essere la seconda manifattura d’Europa passa da qui. Parliamo di decine di migliaia di posti di lavoro e di una partecipazione al prodotto interno lordo non indifferente, in Italia e nel Mezzogiorno. Ed è evidente che essere la più grande acciaieria d’Europa finalmente ambientalizzata può avere un ruolo determinante anche ai fini delle politiche industriali nel Mezzogiorno».

Significa che allora siamo disposti a chiudere un occhio su tutele ambientali e salute?
«No, è esattamente il contrario. Che stiamo lavorando per dimostrare che tenere insieme lavoro, ambiente, salute è possibile. Anche questa è una questione nazionale, che attraversa il paese da sud a nord, caratterizzata da disattenzioni e connivenze, da una politica che latita e da una magistratura nel ruolo di supplenza. E’ tempo di voltare pagina».

C’è un silenzio assordante del Pd sull’Ilva?
«Nessun silenzio assordante, ma assoluta comunità di intenti e posizioni. Non mischio ovviamente né ruoli né funzioni ma è evidente che, da componente della Segreteria nazionale, esprimo una posizione e una azione pienamente condivisa con i vertici del partito».

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