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Imen Boulahrajane: “Saremo noi la generazione che dovrà salvare il mondo dall’autodistruzione”

Buongiorno a tutti. Mi chiamo Imen ho 25 anni e oggi sono qui a raccontarvi la mia generazione. Per intenderci quella con i telefoni sempre in mano, quella senza quei privilegi acquisiti dei nostri genitori. Oppure se preferite quella senza pensione. Quei cittadini di seconda classe che non contano né politicamente né economicamente.
Più poveri dei nostri genitori. E troppo pochi per contare politicamente.

 

Se ci fate caso, vi accorgerete di come in italia le emergenze sembrano quasi ripetersi in un loop infinito di déjà vu: Alitalia, Ilva, Mose. Alitalia, Ilva, Mose. Problemi annosi, che non tengono mai conto di un’altra emergenza forse ancora più grave: quella dei giovani. Quei migranti invisibili come ci ha definiti Ferruccio De Bortoli in un suo editoriale sul Corriere della sera. Perché se parliamo tantissimo di immigrazione, non parliamo invece mai dell’emigrazione. Quell’emigrazione giovanile quintuplicata in dieci anni. Che soltanto nel 2018 ha visto andar via 120 mila ragazzi, un numero di poco inferiore agli abitanti dell’intera Valle d’Aosta. E poi ci sono i migranti interni. Quei ragazzi del Mezzogiorno che ogni anno si spostano in migliaia per poter portare a casa lo stipendio, lasciando affetti, amici e parenti. E sempre quei ragazzi che devono spendere 330 euro per un volo low-cost per poter tornare a casa e passare il natale in famiglia. E magari altri 330 euro se vogliono avere il lusso di tornare a casa ad esercitare un loro diritto: quello del voto.

 

Nessuno parla delle nostre pensioni, nessuno ci spiega cosa siano le pensioni integrative. Una vita di fatta precarietà e incertezze. Con oltre due milioni di loro che non studia né lavora. Uno spreco di vite e di talenti che forse in altre stagioni sarebbe sceso in manifestato nelle piazze. E che oggi sono semplicemente stufi, rasseganti e se ne vanno. Un esodo di massa sulla nostra coscienza nazionale.

Una protesta silenziosa in un paese sempre più anziano, sempre più indebitato, incurante del macigno che dovranno sostenere i giovani. Ci hanno detto: non preoccupatevi, ci indebiteremo, faremo Quota 100 e libereremo quattro posti per ogni nuovo pensionato. Si è visto il risultato. Stallo totale. E un buco da colmare, con misure difficili da delegare al governo successivo. Ma il problema dell’occupazione giovanile non è solo una questione di mancati incentivi fiscali, di decontribuzioni contrattuali. E’ una cosa ben più grave: e la sottovalutazione culturale dell’investimento nei giovani. Atteggiamento tipico di una società anziana, refrattaria all’innovazione, in ritardo nel cogliere le sfide del mondo digitale e ripiegata su sé stessa. Un Paese in ritardo su tutto.

 

Ci piazziamo quartultimi nella classifica Ocse sull’attrattività dei talenti. L’Italia, davanti solo a Grecia, Messico e Turchia. In ritardo con programma serio per favorire la natalità e che negli ultimi giorni con il testo della manovra finalmente torno a vedere scritto nero su bianco che se si vuole incentivare una famiglia ad avere figli è garantire alla donna la possibilità di lavorare e fare la mamma insieme. Perché chiedere nel 2019 ad una donna di sciogliere tra avere figli o carriera è da terzo mondo. E fiera di parlare da una città e una regione che ha fatto dei servizi per le famiglia un modello per l’Italia! Altro che liberare l’Emilia Romagna, qualcuno dovrebbe preoccuparsi a mantenerne e migliorare il già altissimo livello emiliano.

 

Ecco, tutti questi, giovani, donne, famiglie non vengono prima, per parafrasare uno slogan di successo. Ci fosse stato un barcone che li raccogliesse tutti si sarebbe parlato di un’emergenza nazionale. Invece silenzio totale.

 

Ma saremo noi la generazione che dovrà salvare il mondo dall’autodistruzione, alzarci per difendere il pianeta, urlare per difendere quei diritti su cui qualcuno vorrebbe tornare indietro. Alzarci e difendere un ragazzo che lo Stato aveva preso in custodia e ha ridato alla famiglia CADAVERE. Difendere un manipolo di donne e uomini che ha attraversato l’inferno per poi sentirsi dire che la pacchia è finita. A me soltanto a pensarci viene un brivido a pensare presidente del coniglio un uomo dice che Stefano Cucchi è morto di droga. Un uomo cosi mi vergognerei ad avere un vicino di casa.

 

Ma badate, se non riusciremo a costruire un’alternativa a questo Paese, la colpa non sarà di Matteo Salvini. La colpa sarà nostra. Nostra soltanto. Saremo noi i colpevoli. Perché è ora di smetterla con i giochini delle correnti e correntine che ci hanno costato immobilità e frustrazione tra chi in questa grande famiglia rinuncia a tutto per dare ogni giorno un pezzetto del suo tempo per dare un contributo. Perché se falliremo, fallirà il Paese! Lo vogliamo capire? Il fallito non sarà Nicola Zingaretti, tizio caio o Sempronio. Saremo tutti noi. Come facciamo a pretendere che un giovane si senta coinvolto in politica se siamo noi i primi a non lavorare per dargli una risposta forte, di comunità, e non gli slogan di paura. Come facciamo a dire ad un giovane disoccupato che l’italia è ancora il suo Paese?

Io come tanti altri ragazzi, abbiamo regalato gli anni migliori al partito, abbiamo volantinato sotto la pioggia, parlato ad uno uno con le persone in piazza. Vorremmo continuare a farlo, a credere in questo Paese, ma aiutateci a trovare un motivo per farlo.

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