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Padoan: “Un governo che fa salire lo spread danneggia le banche”

cronaca di una crisi bancaria annunciata. L’ennesima. I primi segnali di difficoltà di Carige risalgono al 2010, eppure ancora una volta siamo qui a raccogliere i cocci. Politica, vigilanza, Europa: cos’è che non ha funzionato? Pier Carlo Padoan, ex ministro dell’Economia e oggi deputato del Pd, prova a leggere tra le righe dell’ultimaemergenza creditizia italiana. Coda velenosa di un serpente annidatosi in via Venti Settembre anche durante gli anni dei governi di centrosinistra. «In realtà le crisi sono state avvistate con sufficiente anticipo, il problema semmai è stata la difficoltà a risolverle immediatamente. Il perché è presto detto: ci sono piovute addosso mentre si svolgevano mutamenti epocali come l’avvio dell’unione bancaria europea e la riforma degli strumenti di sostegno agli istituti in difficoltà. Mi riferisco in particolare alla riduzione dei margini di intervento pubblico, pensata per evitare di scaricare il costo dei salvataggi sui contribuenti. Nel frattempo inoltre, e non è un dettaglio, l’Italia più di ogni altro Paese europeo ha sofferto una recessione che in appena tre anni ha spazzato via dieci punti di Pil, con impatti pesanti sui bilanci delle banche».
 

Sta forse dicendo che la colpa non è stata della politica e della vigilanza italiane, quanto piuttosto dell’Europa? Fa effetto ascoltare certe riflessioni da un esponente del centrosinistra.

 
«Guardi, il processo di unione bancaria è essenziale. Ci mancherebbe. Semmai l’Europa ha sbagliato a non prevedere una fase di transizione con norme più morbide, necessaria oltretutto proprio per limitare gli effetti della recessione in corso. Insomma ha fatto troppo e troppo in fretta».
 

Possibile che non ci sia alcuna autocritica da parte del ministro del Tesoro che ha affrontato, tra gli altri, i casi Monte dei Paschi di Siena e Etruria?

 
«Credo che l’errore addebitabile a via Venti Settembre, sia nella mia gestione che nelle precedenti, è stato quello di non aver attivato tutti gli strumenti di intervento disponibili prima della riforma bancaria europea. Penso, in particolare, alla bad bank con risorse pubbliche. Quando era possibile farlo si è ritenuto opportuno non procedere. Quando poi ci abbiamo ripensato era troppo tardi. Per il resto abbiamo adottato misure importanti, come l’accelerazione della vendita delle sofferenze bancarie, o le riforme delle banche popolari e del credito cooperativo. I risultati ci confortano: proprio in questi giorni, ad esempio, il Monte dei Paschi di Siena ha ricominciato a fare assunzioni».
 

Monte dei Paschi, Etruria…non crede che per un ex ministro di centrosinistra sia sconsigliabile evocare certi
nomi? In fondo il Pd ha pagato carissimi, anche in termini elettorali, gli incroci pericolosi tra politica e credito.

 
«Addebitare a quel governo e al Pd certe crisi bancarie è operazione di malafede e strumentalizzazione. Erano storie di mala gestio, addirittura con risvolti penali, e noi abbiamo fatto tutto quello che andava fatto per risolverle. Sono ben altri i casi in cui la politica ha spadroneggiato in modo scorretto nel sistema bancario. Piuttosto, quelli che oggi ci accusano per il passato, pensino a cosa stanno combinando nel presente…».
 

Si spieghi meglio.

 
«Parlo dei problemi autoinflitti al sistema bancario da un governo che ha fatto lievitare i tassi di interesse. Per fortuna ora l’emergenza sembrerebbe in parte rientrata, ma serve un esecutivo che garantisca la stabilità del credito nazionale».
 

Teme che la crisi Carige sia un campanello d’allarme?

 
«Le banche italiane sono in buona salute. Ripeto, anche grazie alle misure adottate dal nostro governo e che spero non vengano smontate, come minacciano un giorno sì e l’altro pure i rappresentanti della maggioranza. Ha contribuito anche la ripresa economica che noi avevamo avviato. Ora occorre grande attenzione sui rischi, con un caveat fondamentale: il sistema del credito europeo è entrato in una fase di grande trasformazione con fusioni e acquisizioni che stanno adeguando le dimensioni delle singole banche».
 

Si riferisce anche al caso Carige? In sostanza ci troviamo di fronte all’ennesima banca locale che paga l’eccessivo radicamento sul territorio. Un “vizio” antico della finanza e dell’imprenditoria italiane.

 
«La territorialità economica e finanziaria dell’Italia è una ricchezza. Questo sostegno delle banche alle diversità, dunque, ha un senso e va proseguito. Ma con le dimensioni adeguate allo sviluppo dei mercati e della tecnologia. Insomma, non esiste più solo lo sportello».
 

Qual è il futuro di Carige?

 
«La soluzione ottimale sarebbe una ricapitalizzazione attraverso il mercato. D’altronde Malacalza fino a qualche tempo fa aveva continuato ad immettere capitale, poi il processo si è arrestato per motivi che personalmente non conosco».

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