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Lavoro, Leonardi: “Niente abiure sul Jobs Act, ma sono possibili correttivi”

Sin dai tempi di Renzi a Palazzo Chigi è lì che si prendono le decisioni su lavoro e pensioni. Allora il consigliere per le questioni economiche era Tommaso Nannicini, ora al suo posto c’è Marco Leonardi. È lui che ha seguito in prima persona l’ultima trattativa coi sindacati.

Leonardi, nonostante il vostro impegno la Cgil ha preso un’altra strada. La Camusso in piazza chiede l’abiura del Jobs Act. Cosa risponde?
«Sulle pensioni il governo ha fatto quel che ha potuto. Siamo disposti a discutere anche di mercato del lavoro purché si evitino scontri ideologici».

E cosa siete disposti a fare? A sinistra del Pd chiedono di ripristinare l’articolo 18.
«Abiure del Jobs Act non ce ne saranno perché sarebbe un errore. Altra cosa è discutere di qualche correttivo».

La Cgil dice che il fallimento del Jobs Act sarebbe certificato dall’aumento dei licenziamenti disciplinari. Non è così?
«Non è così. Il rapporto fra posti di lavoro e licenziamenti è stabile. È invece vero che sta calando il numero di lavoratori dimissionari, perché solo il licenziamento garantisce l’accesso al sussidio di disoccupazione Naspi».

Sta dicendo che i lavoratori quando decidono di cambiare lavoro si fanno licenziare per ottenere il sussidio che diversamente non avrebbero?
«Accade anche questo sì. Lo certificano i dati dell’Inps».

La Camusso porta ad esempio il caso della lavoratrice licenziata da Ikea. Non una bella storia, in effetti. Cosa risponde?
«Di sicuro questo caso non c’entra nulla con il Jobs Act: quella signora era stata assunta dieci anni fa, aveva la protezione dell’articolo 18».

E dunque quali sarebbero i correttivi che sareste disposti a discutere con Cgil e gli altri partiti della sinistra?
«Invece di ridurre il vantaggio ad assumere a tempo indeterminato, mi preoccuperei di disincentivare i contratti a termine. Il decreto Poletti del 2014, che li liberalizzò, ebbe il merito di sostenere la ripresa dell’occupazione. Ora con il Jobs Act quell’incentivo ha meno senso».

L’Italia in effetti è un Paese piuttosto liberale sui contratti a termine: in Germania, Francia e Spagna il limite è di due anni, si possono fare solo due rinnovi e vanno giustificati. Da noi sono possibili cinque rinnovi in tre anni, e senza causale. Siete disponibili ad allinearvi allo standard europeo?
«Io eviterei la reintroduzione delle causali perché farebbe risalire il contenzioso di fronte ai giudici del lavoro. Però si potrebbe ridurre il numero dei rinnovi e il tempo massimo da tre a due anni».

Lei crede che il governo sia disposto a introdurre questa novità da subito nella Finanziaria in discussione alla Camera?
«Non ne abbiamo parlato, ma se ci fosse un ampio grado di convergenza a mio parere potrebbe valutarlo».

Resta il fatto che un Tribunale amministrativo ha eccepito di fronte alla Corte costituzionale il costo “irrisorio” dei licenziamenti. Questo non è un problema?
«Dove necessario siamo intervenuti: abbiamo raddoppiato il costo dei licenziamenti collettivi, e quei fondi serviranno a finanziare le politiche di sostegno ai cassintegrati».

Il caso però riguarda un licenziamento individuale.
«I costi dei licenziamenti individuali in Italia sono in linea con la media europea, se non più alti. In Italia con 12 anni di anzianità il licenziamento prevede una compensazione di due mesi per ogni anno di lavoro fino a un tetto di 24 mensilità. In Francia la riforma Macron prevede un mese di compensazione per ogni anno di lavoro e un tetto di 20 mesi. Ma per ottenerlo occorre aver lavorato trent’anni».

Nel Pd non tutti la pensano così. Dunque lei è contrario?
«Penso che l’aumento del costo dei licenziamenti individuali sarebbe un colpo mortale ai contratti a tempo indeterminato. Nessun imprenditore troverebbe più conveniente farli».

L’obiezione che le farebbe Camusso è che i contratti a tempo indeterminato sono già diminuiti.
«Gli occupati a tempo indeterminato sono aumentati di oltre cinquecentomila unità in due anni e mezzo, e se nel 2017 la propensione ad assumere a tempo indeterminato è scesa è perché le imprese hanno dubbi sulla possibilità che il Jobs Act resti tale. La conferma degli incentivi per i giovani prevista da questa Finanziaria è la risposta a quelle preoccupazioni».

Ci dica una ragione per la quale il Jobs Act ha funzionato.
«Gliene dirò tre: l’aumento degli occupati, del numero delle imprese con più di 15 dipendenti e il crollo del contenzioso».

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