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Lavoro e pensioni: piano giovani per assumere gli under 29 e meno tasse sulla previdenza integrativa

Tre anni di contratto a tempo indeterminato con contributi dimezzati, che idealmente potrebbero seguire un analogo periodo di apprendistato già previsto dalle norme esistenti. E un meccanismo di questo tipo quello a cui sta lavorando il governo, in vista di una legge di Bilancio che dovrà avere proprio i giovani come priorità: un percorso che dunque può arrivare fino a sei anni, come porta di ingresso nel mondo del lavoro stabile. E allo stesso tempo un percorso collegato alle misure di cui si discute al tavolo della previdenza con i sindacati nell’ambito della cosiddetta “fase due”. Partecipa a quel tavolo, insieme al ministro del Lavoro Poletti, Marco Leonardi, economista dell’Università di Milano e consigliere economico di Palazzo Chigi.

Professore, come si collega il tema del lavoro stabile per i giovani con quello della loro pensione futura?
«Partiamo dal presupposto per cui nel sistema contributivo il tasso di sostituzione è abbastanza generoso. Si dice spesso che i giovani rischiano di avere una pensione non adeguata, ma il problema si pone per quei lavoratori che avendo una carriera discontinua non mettono insieme abbastanza contributi. Stiamo parlando in particolare di coloro che hanno tra i 30 e i 45 anni circa e avendo iniziato a lavorare dopo il 1995 ricadono nel contributivo puro. Saranno loro i principali beneficiari della pensione di garanzia di cui stiamo discutendo al tavolo con i sindacati. Ma per completare questo strumento, che è di tipo assistenziale ed è una riforma complicata e costosa, occorrerà attendere la prossima legislatura. Intanto vogliamo rafforzare tutte le forme di flessibilità, dall’Ape alla Rita, la rendita integrativa temporanea. La previdenza complementare è importante: finora è stata intesa come qualcosa che si aggiunge a quella obbligatoria, ma può anche fornire un reddito ponte in attesa che quest’ultima maturi».

E quelli che hanno 30 anni o meno e il lavoro lo stanno ancora cercando?
«Per loro dobbiamo costruire un percorso basato sull’occupazione stabile, in modo che non si ponga o si ponga il meno possibile il problema dei buchi di carriera. La decontribuzione mirata a cui si sta lavorando in vista della legge di Bilancio punta a questo. Eviteremo di cannibalizzare l’apprendistato, anzi in alcuni casi lo sconto potrà diventare doppio se i tre anni con contributi dimezzati, quindi intorno al 15 per cento, vengono utilizzati dopo i tre di apprendistato in cui l’aliquota è fissata al 10. Insomma sei anni di convenienza per le imprese, che poi avrebbero tutto l’interesse a tenere i lavoratori».

Ma una volta esaurito questo tipo di decontribuzione cosa succederebbe?
«C’è un ragionamento sul taglio strutturale del 3 per cento dei contributi per tutti. Ma anche questo è un tema che potrà essere definito meglio nella prossima legislatura anche perché per finanziare il taglio a regime servirebbero risorse consistenti».

Torniamo alla previdenza. Al tavolo i sindacati chiedono di ripensare l’adeguamento all’aumento dell’aspettativa di vita, che scatterebbe nel 2019 con il passaggio dell’età della vecchiaia a 67 anni.
«Su questo abbiamo detto di aspettare i dati Istat che arriveranno ad ottobre. Non affrontiamo il tema per ora. Però nello stesso verbale firmato con i sindacati viene riconosciuto che l’adeguamento all’aspettativa di vita è un pilastro del sistema previdenziale. Per cui, date quelle regole, puntiamo a sfruttare tutti gli elementi di flessibilità in uscita a partire dall’Ape sociale a cui va fatto un tagliando».

La possibilità di anticipo verrebbe allargata in particolare a beneficio delle lavoratrici?
«Sì. L’idea potrebbe essere ridurre di due anni il requisito contributivo, per le donne con almeno due figli: quindi servirebbero 28 anni invece di 30 e 34 invece di 36 nel caso delle mansioni faticose. Ma stiamo ancora facendo approfondimenti. Più costoso sarebbe estendere il meccanismo già previsto dalla legge Dini nel sistema contributivo, che prevede uno sconto generalizzato di quattro mesi per ogni figlio. Se ne potrà riparlare in futuro».

A proposito di previdenza integrativa, viene presa in considerazione l’idea di un nuovo semestre di silenzio-assenso per il conferimento del Tfr, come nel 2007?
«È tra le richieste dei sindacati, ma prima direi di rimuovere gli ostacoli che finora hanno limitato il conferimento del Tfr nei fondi. Si può intervenire per via fiscale detassando la liquidazione per chi fa questa scelta ai fini di ottenere la Rita a 63 anni se è coinvolto in una ristrutturazione aziendale. Stiamo lavorando anche per rimuovere l’attuale penalizzazione fiscale che rende la pensione integrativa meno conveniente per i dipendenti pubblici».

Intanto si attende ancora l’Ape volontaria. Quando arriverà?
«Il decreto andrà il più presto possibile alla firma del presidente del Consiglio e poi entro fine mese alla Corte dei Conti. Quindi a settembre anche questa forma di anticipo dovrebbe concretizzarsi. Sugli accordi quadro con banche e assicurazioni stiamo lavorando in parallelo e quindi potranno diventare operativi subito dopo la pubblicazione del decreto».

Quale sarà il tasso di interesse?
«Inizialmente intorno al 2,75 per cento, ma da questo punto di vista prima si parte meglio è, in vista di un’eventuale risalita dei tassi di mercato. Va ricordato comunque che il livello del tasso viene aggiornato ogni due mesi ma poi per chi lo ha sottoscritto resta lo stesso, come avviene appunto per i mutui a tasso fisso».

L’idea di un prestito per la pensione potrebbe non piacere…
«Grazie all’agevolazione fiscale l’Ape volontaria sarà comunque più conveniente di qualsiasi forma di credito al consumo o di prestito, che certo non è facile trovare a 63 anni di età. Sono girate molte cifre ma il modo migliore di misurare la convenienza è sull’intera durata, invece che in termini di incidenza della singola rata da restituire sulla pensione: in pratica quello che si prende in venti anni viene spalmato su un periodo fino a 23 anni e sette mesi con un costo del 3-3,5 per cento. Con l’Ape volontaria c’è poi anche il vantaggio di non dovere per forza smettere di lavorare: può essere vista anche come una forma di invecchiamento attivo, ad esempio passando per la riduzione dell’orario».

In definitiva, che tipo di risposta vi aspettate?
«L’entità della platea dipenderà in buona parte da come questo strumento sarà utilizzato dalle aziende. Sto parlando dell’Ape aziendale, che permette ai datori di lavoro di aggiungere dei versamenti contributivi per il dipendente. Il quale così compenserà grazie ad una pensione più alta l’onere della rata da restituire. Questo può essere un elemento importante in tutte quelle vertenze in cui non si trovano volontari per l’uscita in vista del pensionamento: l’Ape funzionerebbe come un incentivo».

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