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Padoan: “Banche in crisi, giusto l’aiuto dello Stato”

«Ci sono settori come l’acciaio, il trasporto aereo e in una certa misura quello delle banche, che oggi soffrono di una crisi strutturale a livello globale. Per questo bisogna valutare l’opportunità di un intervento pubblico, che però deve sempre accompagnarsi alla capacità di concorrere al meglio in un’economia di mercato».

Pier Carlo Padoan è deputato Pd ed ex ministro dell’Economia nei governi Renzi e Gentiloni. Apre a una maggior presenza pubblica nelle imprese, ma con qualche paletto.

E la nuova Commissione parlamentare sulle banche, dice, «non deve essere un doppione di quella passata».

Governo e Bankitalia assicurano che il sistema bancario è solido e poi arriva la Popolare di Bari. Dobbiamo aspettarci altri casi simili?

«Non escludo che in futuro ci possano essere problemi specifici per singole banche, anche se non saprei fare nomi. Ma in generale il quadro è migliorato. Se penso a quando ero ministro e ad ora mi sento molto più tranquillo sulla tenuta complessiva del sistema del credito in Italia».

Intanto il governo interviene con 800 milioni per salvare la Popolare…

«Un intervento comprensibile. Di fronte alla crisi di una banca la prima esigenza è quella di tutelare i risparmiatori. E questo non si può fare se non si aiuta la banca a restare sul mercato. Dal punto di vista politico non era possibile fare altrimenti».

La politica, appunto. I legami tra la politica locale, da Forza Italia al Pd, con la banca barese erano stretti. Possono aver influito sul dissesto?

«Non entro in una discussione di politica locale. Dico solo che già da tempo quella Popolare si sarebbe dovuta trasformare in Spa e così avrebbe potuto affrontare i suoi problemi in modo diverso e presumo migliore. Nel 2015, con il governo Renzi, facemmo un decreto proprio per trasformare le Popolari in Spa. Otto su dieci si sono adeguate, mentre Bari e Sondrio hanno cercato di ritardare la trasformazione rivolgendosi alla giustizia amministrativa».

Il salvataggio della Popolare può essere l’occasione di creare una banca per il Sud?

«Sarei molto perplesso a pensare che una banca in difficoltà possa diventare, con un’iniezione di capitali, banca d’investimento per il Mezzogiorno. Fare la banca di sviluppo significa anche avere competenze specifiche, persone. Insomma, è un tema che va decisamente separato dal salvataggio della Popolare».

Su Bari c’è stato un deficit di vigilanza da parte della Banca d’Italia?

«Non sono in grado di risponderle in modo dettagliato perché non conosco i documenti, ma non dubito che Banca d’Italia abbia prestato la consueta attenzione nella sua azione di vigilanza. Del resto è un tema che il governatore Ignazio Visco ha affrontato in modo dettagliato quando è stato sentito dalla passata Commissione parlamentare sulle banche».

Quella Commissione parve un processo a chi doveva vigilare. La nuova Commissione che cosa dovrebbe fare?

«La scorsa Commissione ha raccolto materiale importante che non deve servire a fare processi, ma a capire come migliorare l’attività di vigilanza. C’è un’evidente esigenza di coordinamento tra le autorità di vigilanza europee e quelle nazionali. Questo problema andrebbe risolto. Sarebbe però assurdo che la nuova Commissione rifaccia il lavoro già fatto. Invece bisogna partire da dove siamo arrivati la scorsa volta».

Intervento pubblico nelle banche, in Ilva e in Alitalia. Come giudica questa ondata di statalismo?

«Sono casi distinti con fattori comuni. Oggi aziende che operano in settori strategici – come l’acciaio o il trasporto aereo – devono essere rafforzate anche con investimenti pubblici. Discutiamone e valutiamo come impegnare risorse statali per far sì che queste aziende possano stare sul mercato a condizioni di mercato».

Mercato e fondi pubblici pare una contraddizione.

«L’intervento pubblico è giustificato se serve ad avere una gestione manageriale di alto livello. Penso a un caso come Enel, dove lo Stato è azionista assieme a investitori privati, e che ha un livello di conduzione manageriale molto alto e la capacità di concorrere a pieno sul mercato».

Si tratta di interventi che farebbero anche aumentare il debito pubblico. Possiamo permettercelo?

«Lei sa quanto io sia sensibile al tema del debito pubblico. Ma in economia bisogna calcolare sempre anche quali sono le alternative a una determinata azione. E se le alternative a un sostegno pubblico sono la perdita di competenze e di capitale umano in settori strategici come quelli di cui parliamo, allora può valere la pena fare un po’ di debito pubblico in più una tantum, sapendo che poi non sarà una voce ricorrente in bilancio»

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