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Per una nuova politica industriale

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“Ripartiamo, Italia. Per una nuova politica industriale

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Da troppo tempo l’Italia non cresce più. I dati dicono che siamo fanalino d’Europa per crescita e che la nostra produttività ristagna. Su questa struttura in difficoltà si è abbattuto, in questi mesi, lo tsunami del Covid-19, che sta lasciando e lascerà profonde ferite nel tessuto industriale italiano.

Il tempo di agire è oggi: per affrontare i problemi che ci portiamo dietro e quelli che si sono aperti con la paralisi di questi mesi. Con noi c’è l’Europa, mai come oggi al fianco delle economie e delle società di ognuno degli Stati membri.

Le risorse messe a disposizione sono e saranno ingenti. Il Recovery Plan – disegnato sui valori della solidarietà e del cambiamento – è l’occasione che l’Italia non può perdere.

Proprio per questo il Paese – e in primo luogo i suoi imprenditori e i suoi lavoratori – deve avere una chiara direzione di politica industriale.

 

Una direzione che collochi saldamente l’Italia in un mondo sempre più caratterizzato dalla ridefinizione delle catene del valore, da grandi blocchi regionali in cui l’Europa è chiamata ad avere un ruolo centrale.

 

Una direzione che faccia leva sulle capacità dell’Italia, a partire dal suo capitale umano, che sia fondata sulla modernizzazione del suo apparato produttivo, a partire dall’innovazione digitale e dalla transizione energetica.

 

Una direzione che veda un cambiamento nell’amministrazione, sempre più alleata dell’impresa, sempre più fattore di competitività per il nostro Paese.

 

Il compito della politica, oggi, è dare questa direzione, mettere la nostra economia nelle condizioni di usare al meglio le risorse europee in arrivo e che arriveranno, lavorare insieme alle forze sociali per la Rinascita della nostra impresa, della nostra capacità di creare valore.

 

Uno sforzo che ha bisogno del contributo di tutti: forze politiche, istituzioni, mondo dell’impresa, sistema dell’università e della ricerca.

 

Queste proposte sono il contributo del Partito Democratico a questo sforzo collettivo. Sono un primo passo, ma concreto. Proposte operative che danno un indirizzo chiaro per la politica industriale nel «dopo Covid».

 

Proposte che disegnano una politica con cinque dimensioni strategiche:

  1. Innestare innovazione e digitalizzazione nelle imprese
  2. Sostenere la transizione ‘green’
  3. Incentivare il risparmio verso la patrimonializzazione delle imprese
  4. Costruire un’Italia ‘per’ gli investimenti
  5. Trasformare il Mezzogiorno in un’opportunità di crescita

 

In aggiunta a questi cinque assi, ci sono tre temi trasversali, essenziali per il nostro futuro.

 

Il primo sono le crisi di impresa. È un campo nel quale vanno messe in piedi soluzioni capaci di massimizzare le possibilità di «ripartenza» delle singole aziende e di tutela dei posti di lavoro. Va cambiato passo, rafforzata l’organizzazione, innovati gli strumenti di intervento, reso effettivamente possibile il rilancio. Le istituzioni pubbliche hanno qui un compito essenziale per imprese e cittadini. Oggi e domani.

 

Il secondo è la modernizzazione della Pubblica amministrazione. Mai come oggi c’è bisogno di un’alleanza nuova tra amministrazione ed impresa, mai come oggi la competitività del nostro sistema d’impresa dipende dalla capacità e dalla qualità della nostra amministrazione, dalla piena valorizzazione di chi ci lavora.

 

Il terzo è dotare il nostro sistema di una governance che coordini le azioni dei diversi attori e faccia sì che le risorse disponibili siano utilizzate al meglio: quelle dei diversi ministeri «a ricaduta economica», di soggetti pubblici come Cassa Depositi e Prestiti ed Invitalia, di società a partecipazione statale sempre più chiamate ad essere anche capo-filiera di imprese; quelle dell’Unione Europea, in arrivo con il Recovery Plan, e che richiederanno programmi chiari e un monitoraggio efficace.

 

Questi i passi che proponiamo per affrontare questo passaggio così difficile per l’Italia. Con la convinzione che sia qui una grande occasione per il nostro Paese: diventare più moderno e più europeo.

Ripartiamo.

 

1. Innovare, digitalizzare, ripartire

Negli ultimi venti anni il mondo dell’impresa è cambiato. Radicalmente. E continua a farlo sotto la spinta di globalizzazione e nuove tecnologie. La «rivoluzione digitale» è tra noi, intelligenza artificiale e robotica sono già parte delle strategie di molte delle nostre imprese.

 

Per affrontare questo passaggio – in linea con le linee della nuova politica industriale europea – per il sistema produttivo italiano le parole chiave sono innovazione e digitalizzazione.

Tutte le aziende, da quella familiare alla multinazionale, e tutti i settori devono muovere in questa direzione. Tutti debbono entrare nella «rivoluzione digitale» e accrescere la propria capacità competitiva.

 

Va radicato un ecosistema dell’innovazione che parta dalle scuole ed arrivi alle imprese, passando per le Università, per i centri di ricerca, per un dialogo diverso tra grande e piccola impresa, per la realizzazione di eccellenze nei settori del futuro. Quando l’Europa parla esplicitamente di “ecosistemi industriali”, noi dobbiamo essere all’avanguardia su questo tema, aver pienamente metabolizzato il valore della trasformazione industriale grazie al digitale, del cambiamento necessario al nostro sistema produttivo.

 

Queste le nostre proposte:

Un’Impresa più digitalizzata:

  • Rafforzare le agevolazioni legate al programma Industria 4.0. In particolare:
    – triennalizzare le misure a sostegno di Industria 4.0,
    – innalzare le aliquote per l’acquisto di beni strumentali materiali, per le spese in Ricerca e sviluppo, in Innovazione Green e in design.
  • Voucher per le imprese che utilizzano i servizi relativi alla transizione digitale messi a disposizione dai Competence Center 4.0 e dai Digital Innovation Hub;
  • Potenziare la rete di supercalcolo scientifico a base pubblica, per rafforzare servizi di intelligenza artificiale e big data a tutte le imprese.

 

Una formazione vicina all’Impresa di domani:

  • Potenziamento degli ITS (Istituti tecnici superiori) e finanziamento per il triennio 2021-24 degli Istituti che avviano percorsi 4.0;
  • Promozione tra ricercatori e studenti universitari della cultura startup ed incentivi alla nascita di startup innovative; promozione e rafforzamento delle lauree STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics);
  • Un Piano straordinario di formazione di tutto il personale del sistema industriale, per affrontare la riorganizzazione delle imprese verso il digitale e l’automazione;
  • Favorire corsi di dottorato industriale in collaborazione con le realtà imprenditoriali e l’inserimento di ricercatori nelle imprese.

Più ricerca e più innovazione:

  • Istituire un’agenzia per la diffusione della ricerca applicata alle imprese, in particolare al sistema delle PMI, sul modello della Fraunhofer-Gesellschaft in Germania, mettendo a sistema le attività di trasferimento tecnologico poste in essere dai centri di ricerca pubblici e privati già esistenti;
  • Portare in quattro anni le spese per istruzione e ricerca (oggi il 3,6% del Pil) ai livelli della media Ocse (5%);
  • Sostegno alle iniziative europee di ricerca industriale sugli ambiti più innovativi (IPCEI).

Per un’impresa più plurale:

  • Rafforzare, in linea con le esperienze europee all’avanguardia, gli strumenti per assicurare il coinvolgimento dei lavoratori nella vita dell’impresa;
  • Istituire un Fondo per l’imprenditoria femminile che sostenga iniziative imprenditoriali innovative condotte da imprenditrici e programmi di diffusione dei valori di impresa, anche in collaborazione con il livello regionale;
  • Promuovere nelle scuole, nell’ambito dei corsi di educazione civica, dei valori dell’imprenditoria e del lavoro e portare nelle scuole i valori della creatività e del pensiero critico, del coding, della prototipazione 3D

 

2. Per un’impresa «sostenibile»

Nella transizione verde, l’Italia non parte da zero: un primo tassello del suo Green New Deal è il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC). Ci sono però ulteriori passi in avanti da fare per allinearsi allo spirito «sostenibile» che ha caratterizzato, sin dal suo avvio, la presidenza Von der Leyen e concorrere all’attuazione degli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul clima.

 

Occorre rivedere al rialzo gli obiettivi nazionali al 2030 e al 2050 in tema di efficienza energetica, fonti rinnovabili, riduzione delle emissioni di CO2, sicurezza energetica, sviluppo e mobilità sostenibile.

 

Attuare queste indicazioni significherebbe per l’Italia essere una best practice dal punto di vista della Green Economy. Significherebbe, in termini molto concreti, una riduzione di oltre la metà delle emissioni nella grande industria, di oltre un terzo nei settori del terziario e dei trasporti terrestri. E, ancora, che circa un terzo dell’energia prodotta sarebbe da fonti rinnovabili.

 

Obiettivi che richiedono la mobilitazione di risorse: investimenti nel settore delle energie rinnovabili, nella riduzione di consumi ed emissioni nei settori residenziale, industriale e terziario; nel trasporto e nell’economia circolare.

 

Il primo punto è accompagnare e implementare il Piano, farlo diventare parte integrante della vita della società e delle imprese. Perché da questo dipendono qualità della vita e competitività del Paese.

 

Per questo lavoriamo per un’industria attenta al verde, intervenendo su Transizione 4.0, il programma per avvicinare l’impresa alla transizione digitale e verde e, insieme, sulla creazione di filiere che operino su temi innovativi legati all’energia: dall’efficienza energetica, alla domotica, dagli accumuli di energia alla mobilità elettrica, all’economia circolare e a tutta la filiera dell’imballaggio.

 

Queste le nostre proposte:

 

  • Aggiornare il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima (PNIEC) per adeguarlo ai nuovi obiettivi fissati dalla Commissione Europea;
  • Istituire l’«Osservatorio PNIEC», per monitorare l’attuazione del Piano;
  • Accelerare gli investimenti nell’economia circolare, con semplificazioni delle autorizzazioni, accesso ai crediti di imposta del programma Industria 4.0, allargamento del mercato delle materie prime seconde attraverso il green public procurement;
  • Creazione di un Fondo per l’efficienza energetica e l’accesso al credito da parte delle famiglie;
  • Approvazione di un Piano per il rinnovo completo del materiale rotabile ferroviario e stradale al 2030, con l’obiettivo di rafforzare la filiera industriale;
  • Realizzare le opere tramviarie, metropolitane e di corsie ciclabili previste dai Piani urbani della mobilità sostenibile entro il 2030, e rafforzamento della sharing mobility.
  • Progetto 1000 stazioni hub della mobilità, rafforzare i piani di investimento su infrastrutture sostenibili e l’ammodernamento delle stazioni che devono diventare hub di mobilità;
  • Accelerazione delle bonifiche, con procedure semplificate di reindustrializzazione sostenibile e installazione di impianti da rinnovabili e di accumulo;
  • Semplificare le procedure per l’installazione di energia da fonti rinnovabili, sia di grande taglio con individuazione dei criteri di integrazione e ridurre i tempi di approvazione, che di piccola taglia dove realizzarli «a burocrazia zero»;
  • Agevolare con incentivi fiscali le aziende che si prendono cura di beni comuni (manutenzione fiumi, boschi, argini) sul proprio territorio, aziende che creano esternalità affiancando le istituzioni nella cura dell’ambiente;
  • Agevolare con incentivi fiscali l’emissione di «green bonds» (obbligazioni verdi), legati a progetti con un impatto sostenibile per l’ambiente (dall’energia pulita alla riqualificazione dei terreni, all’efficienza energetica);
  • Individuare progetti strategici di transizione energetica (idrogeno, eolico offshore, fotovoltaico in aree ex industriali da bonificare, biocombustibili) dove convogliare risorse per ricerca e sviluppo in cui coinvolgere le imprese a partecipazione pubblica attive nell’energia e nella transizione ecologica (Eni, Enel, Terna, Snam);
  • Creare un’agenzia nazionale per l’efficienza energetica e la riqualificazione urbana, per supportare gli interventi di riqualificazione e indirizzare le risorse europee e gli incentivi nazionali, a partire dal patrimonio di edilizia residenziale pubblica dove realizzare l’efficientamento entro il 2030 all’interno di processi di rigenerazione urbana coordinati dai Comuni.

 

3. Portare il risparmio ‘verso’ l’impresa

Per realizzare gli obiettivi di investimento che ci attendono, per contribuire alla trasformazione della nostra impresa, è essenziale attivare al massimo le risorse finanziarie disponibili per gli investimenti.

 

In primo luogo è necessario quindi massimizzare le risorse dello Stato per garantire accesso al credito per chi vuole fare impresa. Già il Fondo Centrale di Garanzia e gli altri strumenti pubblici messi in campo stanno mostrando la loro capacità ma, accanto a questo, c’è da affrontare, la mobilitazione del risparmio privato che occorre indirizzare verso investimenti produttivi nel nostro Paese.

Anche qui abbiamo una opportunità che va colta.

Con oltre 4400 miliardi di risparmio finanziario e una propensione al risparmio di quasi il 10% siamo infatti ancora un Paese di grandi risparmiatori.

 

Oggi più che mai dobbiamo trovare il modo di canalizzare questo risparmio verso i nostri asset produttivi individuando gli obiettivi, scegliendo i migliori strumenti di mercato, agendo sulla leva fiscale. Il tutto garantendo i risparmiatori.

 

Non ci sono, però, solo da ridefinire gli strumenti esistenti e da dare una interpretazione moderna a quel «favorire l’accesso del risparmio popolare al diretto e indiretto investimento azionario» nei complessi produttivi del Paese di cui all’art. 47 della Costituzione.

 

C’è anche da affrontare un’emergenza. Per questo ci deve essere una finestra temporale in cui si riconosce ai risparmiatori che decidono di investire nel nostro tessuto di impresa un vantaggio fiscale straordinario. Un modo per dare immediato impulso al nostro risparmio e ‘portarlo’ verso le nostre imprese: quotate e non quotate, grandi e piccole.

 

Queste le nostre proposte:

 

  • Rafforzare le detrazioni/deduzioni fiscali agli investimenti di patrimonializzazione delle PMI da parte di persone fisiche ed imprese;
  • Rafforzare incentivi agli investimenti di capitale di rischio in imprese italiane da parte del capitale privato e dei fondi di investimento chiusi, con particolare riguardo alle startup;
  • Definire incentivi agli investimenti da parte degli enti previdenziali nell’economia reale e modifica alla disciplina degli investimenti qualificati degli enti previdenziali;
  • Per far crescere le imprese:
    ex ante, incentivi a fondo perduto alle imprese che si fondono;
    ex post, introdurre un’agevolazione fiscale che riconosca il valore delle sinergie ottenute con le aggregazioni aziendali (“synergy box”)
  • Introduzione di misure di finanziamento pubblico che incentivino la trasformazione dei debiti in equity, cioè in quote di capitale, favorendo così la ricapitalizzazione delle imprese;
  • Semplificazione di alcune disposizioni in materia di raccolta del risparmio e investimenti in PMI di SiS (Società di investimento semplice) e SICAF (Società di investimento a capitale fisso), per favorire la capitalizzazione delle piccole e medie imprese.

 

4. Per attrarre investimenti e per riportare qui chi ha investito lontano

 

Per ripartire, l’Italia ha bisogno di rilanciare gli investimenti.

Investimenti qualificati, che permettano alla nostra industria di stare sulla frontiera delle nuove tecnologie e dell’ambiente.

Per farlo attrarre imprese di qualità è tra i nostri primi obiettivi.

In tutto questo c’è oggi una possibilità.

Ce lo dicono le tante imprese internazionali che hanno sede qui, imprese che riconoscono quello che oggi il grande vantaggio competitivo italiano: la qualità del nostro capitale umano. Ma riconoscono anche gli svantaggi competitivi, dalla burocrazia inefficiente a un sistema di tassazione che tende a favorire la rendita a scapito dei fattori produttivi.

Se vogliamo dare spazio al nostro potenziale, dobbiamo intervenire con decisione sull’attrazione di investimenti.

Prima di tutto dotandoci di organizzazione e strumenti. Dobbiamo andare a trovare gli investitori con professionalità, scegliendo quelli che meglio si legano alle nostre scelte di politica industriale, aiutandoli a districarsi nell’amministrazione, creando percorsi speciali, incentivandoli con risorse dedicate. E dando loro certezze con Accordi che ‘stabilizzino’ il quadro fiscale per chi decide di investire nel nostro Paese, aprendo le procedure di dialogo con l’Agenza delle Entrate al maggior numero di investitori.

Ma questo è il tempo giusto anche per creare le condizioni per un ‘reshoring’ degli investimenti andati all’estero che, mai come oggi, è possibile ‘riportare a casa’. Sì, in un mondo in cui si capiscono anche i pericoli della globalizzazione, accorciare le catene del valore è d’improvviso ‘la’ scelta per molti imprenditori. Dobbiamo sfruttare questo momento, creare le condizioni perché ritornino ad investire qui.

 

Queste le nostre proposte:

 

  • Rafforzare il ruolo e gli strumenti di Invitalia nell’attività di attrazione degli investimenti esteri, in stretto raccordo con l’ICE per le attività sui mercati esteri e con le amministrazioni territoriali;
  • Incentivare l’arrivo in Italia delle imprese internazionali con i «contratti di attrazione», per seguirle dal punto di vista amministrativo e finanziario;
  • Dare agli investitori la possibilità di firmare con l’Agenzia delle Entrate «accordi di stabilità» per dare certezza e stabilità al trattamento fiscale sugli investimenti durante un determinato periodo di tempo;
  • Più spazio alle imprese per accedere all’interpello con la Agenzia delle Entrate, per avere più certezza sugli investimenti e più investimenti qualificati;
  • Favorire con incentivi fiscali il c.d. reshoring, il rientro in Italia di chi ha portato la sua produzione fuori ed ora vuole tornare a produrre qui.

 

5. Un Sud per l’impresa

Il Mezzogiorno deve tornare ad essere un luogo di crescita. E, per questo, non possiamo immaginare il Sud senza industria. Una moderna politica industriale, orientata all’innovazione e alle sfide del mondo post Covid-19, deve coinvolgere Mezzogiorno e aree interne, per contribuire alla convergenza, come è avvenuto durante le migliori stagioni dello sviluppo industriale italiano.

Con il Piano Sud 2030, il governo ha indicato una prospettiva per rispondere a un processo decennale di disinvestimento nel Mezzogiorno, per rendere la politica di coesione europea e nazionale realmente aggiuntiva e non sostitutiva rispetto alle politiche ordinarie.

Negli ultimi anni, alla vitalità delle imprese meridionali (in particolare le medie imprese) non si è affiancato un presidio coerente dello Stato e del settore pubblico allargato. Occorre una coerente politica industriale votata alla sostenibilità e orientata per sfide e missioni, che sappia sostenere gli investimenti in tutto il ciclo di vita delle imprese, nel sostegno alla crescita dimensionale e nell’inserimento nelle catene del valore.

Il Piano Sud 2030 è uno strumento ancor più attuale per costruire la ripresa. Lo è nel merito, per i fabbisogni e le missioni di investimento. Lo è per l’elaborazione di un metodo distintivo, fondato sulla vicinanza ai Comuni e su una nuova politica territoriale. Lo è per il programma di una rigenerazione amministrativa, senza cui non può esserci politica industriale.

 

A partire dal Piano Sud 2030, queste le nostre proposte:

 

  • Promuovere il riequilibrio territoriale negli investimenti del gruppo Cassa Depositi e Prestiti;
  • Rafforzare le ZES come poli di attrazione di investimenti;
  • Avviare il Fondo “Cresci al Sud”, per la crescita dimensionale delle imprese meridionali attraverso lo scouting della Banca del Mezzogiorno;
  • Sostenere gli stabilimenti produttivi sulle energie rinnovabili al Sud (es. fabbriche di pannelli solari);
  • Investire sull’agroindustria e sull’agricoltura di precisione, per rafforzare la resilienza della filiera alimentare nel Mezzogiorno e nelle aree interne;
  • Accelerare gli investimenti infrastrutturali digitali e la diffusione di dispositivi informatici tra le famiglie, nel Sud e nelle aree interne;
  • Piano per la mobilità al Sud, per rafforzare i collegamenti tra i centri capoluoghi e per sostituire il parco circolante con treni moderni ed ecologici;
  • Avviare una rete di Digital Innovation Hub nel Mezzogiorno, che metta a sistema le capacità già sviluppate sull’intelligenza artificiale e le altre tecnologie abilitanti;
  • Sostenere la telemedicina e gli investimenti nella dotazione tecnologica sanitaria, nel Sud e nelle aree interne;
  • ITS al Sud: aumento delle risorse, miglioramento dei risultati attraverso la diffusione dei migliori modelli, focus su trasformazione digitale e sostenibilità.

 

6. Affrontare le crisi di impresa

 

Difendere gli assetti produttivi attuali, in particolare quelli strategici, è una priorità per il Governo. Le crisi industriali costituiscono ormai un’emergenza nazionale. E ai tavoli di crisi oggi esistenti altri se ne aggiungeranno a valle dell’emergenza Covid-19.

In questo contesto occorre tenere in considerazione le crisi della piccola e media impresa che rischiano di depauperare il know how del sistema produttivo e incidere in modo massivo sull’aumento della disoccupazione.

Spesso queste crisi sono connesse con la difficoltà del ricambio generazionale, occorre quindi puntare su un accompagnamento di questa delicata fase che ha a che fare con formazione continua, patrimonializzazione, aggregazioni e incentivo all’internazionalizzazione e all’accesso al credito trattati in altri capitoli di questo documento ma che devono essere coordinati da una gestione che mappi punti di forza e criticità del tessuto produttivo e stimi la loro evoluzione nel tempo.

 

Queste le nostre proposte:

 

  • Sgravi fiscali per la nuova finanza volta a favorire le aziende in crisi;
  • Istituire un Fondo di turnaround, per finanziare i piani di risanamento e di ristrutturazione delle aziende in crisi;
  • Prestiti speciali alle aziende considerate strategiche o capofiliera di settori e distretti, i quali, se i programmi di investimento concordati verranno rispettati, si trasformeranno in finanziamenti a fondo perduto;
  • Istituire un fondo per progetti di formazione dei lavoratori, come parte integrante dell’orario di lavoro, per favorire la riqualificazione delle aziende in crisi;
  • Favorire il «workers buyout» delle aziende in crisi, introducendo premi fiscali all’impegno dei lavoratori e delle lavoratrici nella rigenerazione dell’azienda, consentendo così di rilanciare la propria impresa divenendone proprietari.

 

7. Portare l’amministrazione nel domani

 

Tutti gli indicatori dicono che sempre più la competitività passa dalla qualità dell’azione amministrativa. Per questo vanno rafforzate le infrastrutture digitali – dalla banda ultra larga alle reti mobili fino all’imminente diffusione del 5G – e va portata a compimento la trasformazione digitale della PA.

Le basi ci sono. Gli ultimi anni hanno visto passaggi importanti: la fatturazione elettronica, l’identità unica digitale «SPID», l’anagrafe digitale unica «ANPR», il sistema pagopa, la piattaforma di accesso unico per i cittadini ai servizi digitali delle pubbliche amministrazioni «IO», la piattaforma nazionale digitale dati «DAF».

Ora c’è da cambiare passo.

I Progetti vanno potenziati per consentire a cittadini e imprese di fruire digitalmente di ogni servizio online, ricevendo telematicamente qualsiasi comunicazione e notifica.

Nella «nuova» pubblica amministrazione digitale, deve essere riconosciuta importanza centrale al ruolo dei dati che devono essere acquisiti e gestiti in modo da velocizzare l’attività degli uffici e consentire alle amministrazioni di prendere decisioni tempestive ed efficaci. Accanto a questo occorre un piano di investimento nelle competenze digitali dei cittadini, anche con formule di cooperazione pubblico-privato, per contrastare il digital divide.

 

Queste le nostre proposte:

 

  • Completamento della digitalizzazione integrale della Pubblica amministrazione;
  • Investimenti per garantire entro due anni l’accesso al 5G e al digitale in tutto il Paese (assicurando anche la sicurezza dei dati degli italiani);
  • 500 mila assunzioni pubbliche di giovani, creativi, ingegneri, informatici per migliorare la qualità dell’intervento pubblico, selezionati sia in base alle loro competenze specifiche, sia in base alle competenze organizzative e di sistema;
  • Tempi certi nel rapporto con lo Stato per chi investe e per chi fa impresa:
    a) silenzio assenso nei processi autorizzativi (esclusi obiettivi sensibili come antimafia);
    b) interventi normativi ad hoc per valorizzare la cultura del fare contro la logica dei veti, favorendo l’assunzione di responsabilità dei dirigenti amministrativi (ad esempio eliminando l’equiparazione dei reati contro la pubblica amministrazione ai reati di mafia) e per razionalizzare e velocizzare i controlli;
    c) tempi certi e adempimento nei pagamenti dei debiti della Pubblica amministrazione verso le aziende.

 

8. Una nuova governance di politica industriale, per cambiare davvero

 

Il dopo Covid-19 sarà un momento molto difficile per il Paese, ma potenzialmente, come tutti i periodi di crisi, anche un momento di grandi opportunità: a partire da quelle che si apriranno con il Recovery Plan dell’Unione Europea.

Per coglierle sarà necessario fare quello che in Italia non siamo quasi mai riusciti a fare, giocare come una squadra, sfruttando tutte le risorse economiche ed umane in modo efficace.
Il coordinamento deve avvenire sia in sede di elaborazione delle strategie, sia nella modalità di implementazione delle stesse.

È necessario, dunque, un luogo di elaborazione di Politica Industriale e strumenti per assicurare che tali indicazioni siano fatte proprie e metabolizzate dai ministeri interessati, dalle amministrazioni regionali, dalle imprese a partecipazione statale.

Questo per permettere a ciascuna componente di contribuire, all’interno di un disegno complessivo, allo sviluppo e modernizzazione delle infrastrutture, allo sfruttamento delle opportunità legate al Green New Deal, a cercare di riportare in Italia unità produttive per rafforzare la supply chain e sfruttare al massimo le competenze del nostro Paese.

In parallelo vogliamo agire, con lo stesso metodo, su un tema strategico per la nostra economia quale la produttività, e sul miglioramento della regolazione.

 

In questa ottica, avanziamo due proposte:

 

  1. istituire un organo collegiale per la definizione della strategia di politica industriale, degli indirizzi per i diversi attori pubblici con ruoli nell’economia e delle modalità di utilizzo dei nuovi fondi europei. La scelta è il modello francese del «Conseil national de l’Industrie», di cui fanno parte esponenti delle istituzioni, rappresentanti delle categorie imprenditoriali, dei sindacati, del settore creditizio, e che si riunisce periodicamente per fissare obiettivi strategici di politica industriale e monitorarne i progressi;
  2. istituire il Comitato Nazionale per la Produttività, organismo indipendente previsto dalla disciplina europea chiamato a dare al Governo suggerimenti nella definizione di misure per il rilancio della produttività-Istituire l’Unità di Nudging, presso la presidenza del Consiglio dei Ministri, per migliorare la qualità dell’azione amministrativa attraverso il ricorso alle tecniche di regolazioni comportamentali.

 

Conclusioni

 

Queste, in sintesi, le proposte del PD per affiancare il sistema produttivo nazionale in questa fase e sostenerlo nel rilancio e nella trasformazione che sono davanti a noi.
Sono proposte che nascono con una chiara identità europea.
Ambiscono, prima di tutto, a portare ‘tutte’ le imprese nella rivoluzione digitale ed in quella verde, dando loro l’assistenza necessaria ad entrare in questo ‘nuovo mondo’.

E, insieme, sono proposte che ambiscono a cambiare la cultura d’impresa del nostro Paese: portando da subito i nostri ragazzi ‘nell’economia e nell’innovazione’ dei loro territori e del loro Paese; incentivando il risparmio degli italiani ad essere sempre più vicino alle nostre imprese; mettendo al centro il capitale umano, la formazione continua, la sperimentazione e l’innovazione; rafforzando gli strumenti di governance per arrivare ad un’azione che dia a tutti gli attori dell’economia una direzione di marcia chiara; lavorando, infine, per una pubblica amministrazione finalmente alleata delle imprese.

 

Solidarietà e rilancio sono le parole con cui l’Europa parla di questo passaggio.

Le facciamo nostre. L’Italia, come l’Europa, uscirà più forte se costruirà la sua ripartenza sul cambiamento e sul senso di comunità.

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