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Il Piemonte ferma le slot machine. Baretta: “Il proibizionismo non serve e fa danni all’erario”

La mediazione sull’asse Torino-Roma è andata avanti per settimane, ma non ha prodotto risultati. Da domani in Piemonte migliaia di slot machine diventano fuorilegge e i vigili potranno spegnerle. Al ministero del Tesoro l’umore non è dei migliori. Il governo quantifica in oltre 240 milioni di euro l’anno il danno erariale che la legge regionale arrecherà alle casse dello Stato.
«Prendiamo atto che il Piemonte ha imboccato la strada funesta del proibizionismo», tuona Pier Paolo Baretta, sottosegretario all’Economia, che dal 2013 si occupa di gioco d’azzardo. «Non vorrei – avverte – che si aprissero procedimenti nei confronti degli amministratori locali».

Il Piemonte ha varato la legge più restrittiva d’Italia in termini di limiti al gioco d’azzardo. Sottosegretario Baretta, qual è la posizione del governo?
«A settembre abbiamo firmato un accordo con le Regioni dopo un’estenuante trattativa. Quell’accordo prevede che gli enti locali possano decidere dove collocare slot e punti gioco. Ma l’obiettivo è quello di ridurre del 35% l’offerta di azzardo e le Regioni devono adeguarsi. La scelta del Piemonte non rispetta le regole».

La ludopatia è una malattia. I giocatori patologici sono 800 mila. Perché il governo è contrario a una legge regionale che ha come obiettivo tutelare la salute dei cittadini?
«Anche il governo vuole proteggere la salute pubblica. Il dimezzamento dei punti gioco previsto dall’accordo nazionale è un’iniziativa nostra. Rivendichiamo un cambio di direzione drastico. Ma il Piemonte ha scelto di imboccare la strada del proibizionismo».

Perché non siete riusciti a trovare un accordo con la Regione?
«Il presidente Chiamparino ha scritto al Consiglio regionale chiedendo tempo, ma quest’ultimo ha deciso di tirare dritto. Le motivazioni vanno cercate nella dialettica politica locale».

La stretta del Piemonte sulle slot scatta fra poche ore, ma la legge è stata approvata un anno e mezzo fa. Perché il governo non l’ha mai impugnata?
«Perché era in corso la discussione a livello nazionale. Purtroppo la logica della collaborazione non ha prevalso. Ma noi siamo disponibili a sederci a un tavolo anche domattina. Il muro contro muro non giova a nessuno, la materia è troppo delicata. Vogliamo evitare di impugnare la legge, ma chiediamo al Piemonte un ripensamento».

Ma l’intesa tra governo ed enti locali raggiunta a settembre dice anche che «le Regioni, ai fini del contrasto delle patologie afferenti alla dipendenza da gioco d’azzardo, potranno prevedere forme maggiori di tutela per la popolazione». In sostanza è un via libera a leggi più restrittive, come quella del Piemonte.
«È vero. Il problema è cosa intendiamo per “restrittive”. La legge del Piemonte è una fuga in avanti che azzera l’offerta di gioco e questo non è accettabile. La perdita di gettito sarà notevolissima, è un problema».

Come reagirà il governo?
«I provvedimenti del Piemonte sono in contrasto con la legge nazionale e l’impedimento all’esercizio dell’offerta di gioco d’azzardo rappresenta un danno erariale. Non si può far finta di nulla. Non vorrei che si aprissero procedimenti nei confronti degli amministratori piemontesi, che potrebbero dover rispondere delle mancate entrate. Mi auguro che ciò non accada, ma non posso escluderlo».

Ma anche i disastri sociali causati dal gioco d’azzardo patologico sono, di fatto, un danno erariale.
«È vero. Proprio per questo ce ne stiamo facendo carico con la drastica riduzione dell’offerta. Abbiamo stanziato anche 50 milioni per sostenere le regioni nel contrasto alla ludopatia».

Lo Stato da una parte afferma di voler mettere un freno all’azzardo e dall’altra incassa l’esorbitante cifra di 10,5 miliardi di euro da macchinette mangiasoldi e giochi vari. Come si risolve questo conflitto d’interessi?
«Si risolve accettando il principio di mettere in conto una progressiva riduzione delle entrare dalla voce “gioco d’azzardo”. Un ridimensionamento è necessario, ma l’azzeramento dell’offerta deciso dal Piemonte è un favore alla criminalità organizzata. Il gioco non scomparirà, piuttosto tornerà a essere gestito dalle mafie».

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