Emilia Romagna, l’autonomia vista da sinistra. Senza alcun timore di apparire la regione ricca che persegue un progetto egoista a danno delle zone più deboli del Paese. «Ho avanzato un progetto per l’Emilia-Romagna, peraltro condiviso con tutte le forze sociali, per rendere più efficienti i nostri servizi e più rapide le risposte della pubblica amministrazione ai cittadini e alle imprese», spiega il governatore Stefano Bonaccini. «Mi piacerebbe vedere tutti impegnati in questo sforzo, non solo le Regioni che già oggi hanno tra gli standard migliori e che pure vogliono migliorare ulteriormente».
Non c’è il rischio di impoverire regioni già disagiate?
«La nostra proposta non prevede un euro in più di quanti già oggi ne siano spesi per il nostro territorio dallo Stato centrale. Io non chiedo più soldi, ma risorse certe per fare una programmazione seria. Chiediamo, questo sì, di poter gestire le risorse già ora spese per le competenze richieste, convinti di poterlo fare con maggiore efficacia e rapidità».
C’è chi teme per l’unità del Paese.
«Per me l’unità del Paese e la solidarietà tra territori sono principi inviolabili e sacri. Anche il superamento degli sprechi e delle inefficienze però è cruciale. Spero che per ogni legittimo timore espresso per il divario tra Nord e Sud arrivi anche un impegno per contenere il divario dell’efficienza».
A colpi di autonomia non si finisce per indebolire lo Stato?
«Il nostro progetto prevede uno Stato ‘forte’, in grado di fissare i principi e i paletti di sistema anche per le materie trasferite, oltre che di programmare insieme a noi in modo più moderno ed efficace».
La volontà di autonomia può essere letta così: regioni come la nostra hanno pagato un prezzo altissimo, in termini solidaristici, verso altri territori. Ora vogliamo gestire parte delle risorse in casa nostra…
«No, non c’è nessun rigurgito egoistico. C’è al contrario la preoccupazione che il sistema, anno dopo anno, si stia impallando. Il problema non è affatto prevedere più risorse per il Mezzogiorno o per le aree interne o le isole, questo è sacrosanto».
Qual è il punto?
«Accorgersi che parte dei fondi stanziati non vengono spesi, che la nostra programmazione è inchiodata da quella ministeriale, che non c’è mai certezza per un investimento, un’opera pubblica, o un servizio un anno per l’altro. Occorre cambiare e per farlo serve un progetto di riordino, non i tanti slogan vuoti che sento. Noi lo abbiamo costruito col consenso degli enti locali, delle imprese e dei sindacati, delle università e del terzo settore».