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Bonaccini: “Ora svolta autonomista anche a sinistra, dalla sanità al lavoro”

«Non chiedo più soldiallo Stato ma più libertà di gestirli su alcune precise competenze». Il governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini ha in tasca la sua svolta autonomista. Una terza via “soft” tra il vecchio centralismo e il federalismo a trazione leghista. Bonaccini ne ha già parlato col premier Paolo Gentiloni, e sul tema verrà aperto un tavolo di lavoro col sottosegretario per le Autonomie Gianclaudio Bressa la prossima settimana. Niente a che fare con i referendum della Lega Nord in Lombardia e Veneto, «che per la banalità del quesito rischiano di avere un sapore puramente plebiscitario»: «Noi cerchiamo l’autonomia nel solco della Costituzione. E vogliamo farlo con l’accordo di sindacati e imprese». Il grimaldello è l’articolo 116 della Costituzione, che già prevede maggiori margini di libertà alle regioni virtuose.

 

Serve una legge, mail governo è interessatoa farla. Bonaccini, lei arrivadopo Maroni e Zaia, che hanno annunciato un re ferendum sulla autonomia regionale.Come mai questa proposta arriva ora?

 

«Noi lavoriamo da tempo in silenzio. Inoltre su questo tema nessuno è “arrivato. Piuttosto noi “partiamo”. E partiamo con un percorso che può arrivare ameta».

 

Eppure usate parole d’ordine simili alla destra. Matteo Renzi giorni fa ha parlato, sul tema dell’immigrazione, di «aiutare i migranti a casa loro». Ora lei parla di «autonomia». Inseguite la Lega?

 

«Assolutamente no. Il centrosinistra è da sempre attento all’autonomia dei territori. Molto più della Lega, che ha fatto molti slogan, ma poi quando è stata al governo ha fatto politiche centraliste».

 

Ci spieghi in cosa consiste la sua proposta. Quale autonomia chiedete?
«Chiediamo maggiore libertà su specifiche competenze e maggiori margini per gestire le risorse che ci trasferisce lo Stato. Le competenze sono sanità e welfare, lavoro e formazione, impresa ricerca e sviluppo, ambiente e territorio. In pratica chiediamo la libertà di utilizzare più risorse per gestire alcune funzioni. Parliamo di una autonomia fiscale, in parte, ma soprattutto della libertà di decidere dove investire i fondi».

 

Ad esempio?
«Ad esempio sui temi della formazione e del lavoro, potremmo creare un politecnico regionale, d’intesa col sistema produttivo, che formi migliaia di diplomati l’anno. Parlo dei tecnici tanto richiesti dalle nostre aziende».

 

Perchè è contrario al referendum proposto invece da Lombardia e Veneto?
«Primo, perché il referendum costa 10-15 milioni, che noi vorremmo investire nella crescita. Secondo, perché rischia di essere uno slogan. Premetto il mio rispetto per Maroni e Zaia. Tuttavia il quesito referendario è così banale che è difficile dire di no, ma poi non sono specificate le competenze che loro vorrebbero rendere autonome. Allo stesso tempo dichiarano che grazie all’autonomia potrebbero trattenere sul territorio migliaia di miliardi di risorse in più. Ma se fosse così, allora salterebbe il patto di unità nazionale».

 

La sua proposta non lo fa saltare?

«No. Per noi l’unità nazionale è sacra, né vogliamo diventare una regione a statuto speciale. L’Emilia Romagna cresce più di Lombardia e Veneto, e abbiamo l’obiettivo di portare l’indice di disoccupazione al 4-5% a fine mandato. Quando sono stato eletto era al 9%, oggi è già al 6,5%. Essendo una regione virtuosa, che dà allo Stato più di quel che riceve, pensiamo che una maggiore autonomia ci darebbe ancora più stimolo alla crescita e potremmo contribuire ancor di più al bene del Paese».

 

Non è che l’Emilia Romagna, proprio perché cresce, vuole “sganciarsi” dalle regioni più in difficoltà?

«Sarebbe offensivo anche pensarlo. Non verremo mai meno ai nostri obblighi solidaristici».

 

Lei sostenne il Sì al referendum costituzionale che voleva riportare allo Stato alcune funzioni oggi delle regioni. Non è contraddittorio ora chiedere autonomia?
«No, perchè le competenze sono diverse. Nel referendum si voleva riportare allo Stato turismo e infrastrutture, ad esempio. Noi non chiediamo più autonomia su questi temi. Pensiamo soltanto che l’Emilia Romagna, che ha fatto già da apripista sui vaccini, possa dare il suo contributo anche in questo campo. Alla nostra maniera però: coinvolgendo sindacati e imprese. Alla emiliana, insomma. Non alla leghista».

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