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Bonaccini: “Ora una terapia choc per far ripartire il Paese”

Presidente Bonaccini, quale giudizio sulle misure economiche adottate dal governo?

«Dare la pagella a ogni passo, su ogni misura presa, è uno dei tanti problemi di questa storia. Non mi pare né utile né sensato».

 

Cosa serve di più in questo momento?

«Unità. Per tutelare imprese e posti di lavoro».

 

Domani al presidente Conte chiederà anche dell’altro?

«Guiderò una delegazione delle Regioni, oltre a noi ci saranno le parti sociali. Misure urgenti non per le sole zone rosse, sblocco dei fondi già disponibili presso le Regioni per la cassa integrazione in deroga, azzeramento dei cosiddetti “contatori” per far ripartire gli ammortizzatori sociali, accesso al credito per le imprese, sostegno ai comparti produttivi, comprendendo anche turismo, cultura e servizi. Come vede, abbiamo le idee chiare su ciò che chiederemo al governo».

 

Un vasto programma, direbbe qualcuno.

«Che lo dica pure. Ci rendiamo conto che esiste il rischio di una recessione economica pesante?».

 

Possiamo evitarla da soli?

«Il Paese ha bisogno di una terapia choc, che passi per il rilancio degli investimenti e, ripeto, la tutela dei lavoratori e delle nostre produzioni. Ma per fare questo servono risorse straordinarie, sulle quali l’Europa deve dire sì».

 

Basterà?

«Forse serve anche una strategia per l’intera Europa, visto che il problema è comune. Qui in Emilia-Romagna lo abbiamo visto con il terremoto: l’Europa stanziò fondi come mai era successo prima, e l’area colpita ne uscì crescendo a ritmi superiori rispetto a prima del sisma. Insieme, ce la possiamo fare».

 

Quanto contano la comunicazione e i gesti appropriati in una vicenda del genere?

«Molto, ovviamente. Servono equilibrio, sobrietà e lucidità da parte di tutti, ognuno per la funzione che è chiamato a svolgere».

 

Cosa non ha funzionato nei primi giorni?

«Le critiche alle nostre istituzioni mi sembrano ingenerose. Nel giro di poche ore, due settimane fa, si sono iniziati a registrare diversi casi positivi di un virus sconosciuto, la cui portata non è ancora chiara, con i tecnici che ci chiedono soprattutto tempo per poter capire e valutare lo stesso effetto delle misure adottate».

 

Qual era l’obiettivo della prima fase?

«Coordinare e omogeneizzare gli interventi, cosa non facile ma necessaria. Le misure adottate nella prima settimana sono state sostanzialmente confermate nel decreto di ieri del governo, varato seguendo le indicazioni della comunità scientifica nazionale. Al primo posto abbiamo sempre e solo messo la salute delle persone».

 

C’è stata anche una forma di psicosi sociale?

«Gli scaffali vuoti nei supermercati, dove alimentari e beni di prima necessità sono spariti in poche ore, rappresentano bene la paura delle persone, ma ci sono anche tantissimi cittadini che stanno tenendo una condotta esemplare, responsabile e positiva».

 

Qual è il comportamento giusto?

«Non rinunciamo a elementi di socialità importanti e necessari, senza esporci a inutili rischi. Per questo la riapertura dei musei e dei luoghi della cultura, seppur con ingressi contingentati, che abbiamo proposto al governo, rappresenta un fatto positivo. Ognuno è chiamato a fare la sua parte, ma facciamola con raziocinio. Tutti».

 

Prima la richiesta di misure forti, poi meno, poi altri ripensamenti. Anche voi presidenti di Regione avete fatto confusione?

«Vengo da giorni nei quali col premier Conte, il ministro Speranza e i presidenti di Regione, i colleghi Fontana e Zaia su tutti, ci siamo confrontati sulle misure da prendere facendo riunioni fiume in videoconferenza, fino a un decreto condiviso. Ecco, in un mondo così complicato, piuttosto che mettermi a criticare gli altri preferisco sottolineare il lavoro che le istituzioni stanno facendo, insieme».

 

Bisogna restituire più potere allo Stato?

«Nella prima settimana, io, Fontana e Zaia abbiamo comunque firmato ordinanze insieme al ministro della Salute. Anche il decreto di ieri lo abbiamo costruito insieme, con provvedimenti mirati a seconda della diffusione del virus nelle diverse aree geografiche. A me sembra che la regia nazionale non sia mai mancata, così come le Regioni non sono un ostacolo, anzi».

 

Lei che è un grande appassionato di calcio, cosa pensa della gestione del campionato tra rinvii, porte chiuse, marce avanti e indietro?

«Potrei dire che chi gestisce l’industria del pallone in Italia dovrebbe cercare l’unità che, ripeto, serve al Paese. Ma forse qualcuno non ha chiaro cosa stiamo rischiando: per quanto mi riguarda, stavolta il calcio viene dopo, ve lo assicuro».

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