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Emilio Del Bono: “Il Pd non tema di essere pop per vincere ancora serve coraggio”

Dice che, in fondo, «le avvisaglie» dei risultati delle amministrative c’erano già: «Le abbiamo viste nel voto regionale. Anche questa volta il vento è stato politico». Eppure il vero vincitore di questa tornata che ha cambiato colore alla mappa di molte città (non solo) lombarde, in pieno psicodramma collettivo di un Pd che ha perso anche le sue ultime roccaforti, non si sente «depresso». Perché, spiega Emilio Del Bono, sindaco di una Brescia riconquistata già al primo turno, «la situazione è complessa e complicata, certo, ma vado controcorrente e non sono catastrofista».

 

Come è possibile? Dopo la batosta delle politiche, il Pd ha perso anche città che amministrava da sempre come Cinisello. È piena crisi.

 

«Sì, ma la crisi non è solo nostra. Ci sono altri due smottamenti in atto. Uno si vede già adesso, forte, ed è quello di Forza Italia. Ma tra qualche mese sarà evidente anche la perdita di terreno dei 5 Stelle. Ecco, esiste un popolo, largo, che non è collocato sulle posizioni di Salvini e che cerca risposte politiche. Io l’ho trovato. Vede, sí può vincere o perdere nell’immediato. Succede. Il vero tema è capire da dove ripartiamo».

 

Ecco, da dove deve ripartire il Pd?

 

«La soluzione non può essere solo sommare una serie di sigle. Anch’io l’ho fatto, ma è arrivata la stagione di scelte coraggiose e di una proposta nuova».

 

La pensa come Prodi: bisogna andare oltre il Pd?

 

«Dobbiamo andare oltre i contenitori per come li abbiamo conosciuti finora, tutto può cambiare forma, anche il centrosinistra o fronte democratico o repubblicano o come verrà chiamato. Serve una riflessione nuova che forzi anche i canoni tradizionali di sinistra e destra non, sia chiaro, sui valori ideali. Prima ancora del contenitore, però, è necessario partire dai contenuti, senza scappare di fronte alle questioni vere. E popolari. In questo senso il paradigma è inclusione o esclusione. È lì che c’è stata la frattura. Ed è lì che il popolo ha smesso di votare una sinistra in cui non si è più sentito rappresentato».

 

Sindaco, dice di aver trovato quel popolo anche chi votava 5 Stelle o Forza Italia e di averlo evidentemente convinto a votare per lei. Come ci è riuscito? Qual è il modello Brescia?

 

«Lavorando sull’inclusione, appunto, andando nei singoli quartieri, dalle persone più semplici, non con i dibattiti da salotto. Sono andato nelle periferie, perché è da lì che vengo ed è lì che ho preso più voti. L’ho fatto portando buon governo e credibilità perché per cinque anni ho lavorato per fare in modo che non ci fossero quartieri di serie A e quartieri di serie B e che tutti, vuoi per un nuovo parco, un centro sportivo, un servizio, sentissero di aver accresciuta la qualità della loro vita. È un mestiere difficilissimo, ma necessario».

 

E che cosa pensa del modello Milano, invece? Per il segretario del Pd Alfieri non è esportabile perché Milano, dice, è come New York.

 

«Milano fa storia a sé, è vero, per dimensioni, opportunità, crescita, investimenti. Anche Brescia, nel suo piccolo, vive una condizione simile: una città industriale oggi di servizi, che come Milano compete nel mondo proprio perché è inclusiva. È dove c’è crisi economica e non ci sono risposte adeguate che il populismo sfonda».

 

E questa la sua ricetta, quindi? In fondo anche Sala dice che il modello Milano è fatto di sviluppo e di solidarietà.

 

«Sì, crescita ma in tutti i quartieri per fare in modo che tutta la città e non solo una parte migliori perché tutti i cittadini hanno il diritto di sentirsi uguali. Inclusione. E rigore».

 

Torniamo alle periferie, dove lei ha preso voti. Il Pd, invece, a Milano è proprio lì che soffre. Dopo Sesto e Cinisello, il centrodestra ha messo nel mirino il capoluogo. C’è il rischio che cada anche questo argine?

 

«Ma Milano è un fior di città governata benissimo prima da Pisapia e ora da Sala. Si stanno attrezzando bene e hanno tutte le chance per vincere ancora anche perché, giustamente, Sala si è posto il tema delle periferie e lì vuole lavorare. È quello il tema: tornare a una politica popolare».

 

Che, guardando ancora al Pd, quali parole d’ordine dovrebbe darsi?

 

«Lavoro e sicurezza, è lì che vincono gli altri. La sicurezza, in particolare, che è diventata lo spauracchio, non è né di destra né di sinistra. Anzi, dovrebbe essere più un argomento nostro perché chi paga il prezzo più alto sono le classi umili, chi è in difficoltà. Salvini sfonda parlando di immigrazione e lo fa anche rivolgendosi a un pezzo del nostro popolo. Un popolo che pone problemi reali e che, anche su questo fronte, non può ricevere risposte snob».

 

Lei l’avrebbe organizzata la tavolata dei popoli?

 

«Certo, perché di iniziative così anche noi ne organizziamo molte. Brescia è una città di seconde generazioni. La nostra risposta è l’integrazione ed è l’inclusione, ma queste devono camminare in parallelo con la sicurezza e la legalità. I fenomeni migratori vanno governati. È quando non percepisci più che dietro ci sia una gestione, che hai paura, è lì che la Lega sfonda».

 

Non c’è il rischio di rincorrere Salvini su questi temi?

 

«No, perché dobbiamo avanzare una nostra proposta senza scappare di fronte a domande scomode. L’agenda non può essere diversa da quella della gente, che chiede lavoro, qualità dei servizi e, appunto, sicurezza. Sono le soluzioni che devono essere diverse».

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