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Chiamparino “In Piemonte un’alleanza ampia che parte dalle cose da fare: Il manifesto dei sì”

«Per la prima volta nella sua non breve carriera politica, Sergio Chiamparino, 70 anni, governatore uscente del Piemonte, parte in salita. Non è il favorito. Si candida a succedere a sé stesso ma il candidato del centrodestra (che ancora non c’è) è il favorito.
 

Chiamparino, è dura?

 
«Diciamo che devo nuotare controcorrente».
 

Carlo Trerotola, il candidato del centrosinistra lucano, ha detto: «Meglio secondi che terzi». Lei si accontenterebbe?

 
«Io e la mia coalizione giochiamo per vincere. No, non mi accontenterei. Una sconfitta è una sconfitta».
 

Come evitare il 7 a O a vantaggio della Lega?

 
«Ho la presunzione di pensare che conti, nel voto, anche quel che si è fatto. Penso che la nostra giunta abbia lavorato bene».
 

Un esempio, secondo lei?

 
«Abbiamo ereditato una sanità commissariata e l’abbiamo trasformata in un esempio da seguire. Non lo dico io. Lo dice il governo».
 esempio da seguire

Un altro?

 
«Quando siamo arrivati, meno di metà degli studenti che avevano diritto all’assegno di studio potevano incassarlo davvero. Oggi lo hanno tutti».
 

Tutto questo non basta, forse, a invertire la corrente. Con chi vi alleate?

 
«Abbiamo un’alleanza ampia che parte da un manifesto di cose da fare. Il nostro manifesto dei sì».
 

Che comincia con il Sì alla Tav

 
«Quello è stato un passaggio fondamentale. Anche perché questo governo ha detto molti no al Piemonte. A partire dal blocco dei lavori nelle infrastrutture. Che vogliono dire reddito e lavoro».
 

Zingaretti invita a fare alleanze ampie sui territori

 
«Ha ragione. Noi l’abbiamo fatta. Va dalle liste civiche, all’area moderata fino alla sinistra».
 

Non c’è il rischio che alleanze larghe vogliano dire programmi scoloriti?

 
«È per questo che ho voluto partire con il manifesto dei sì. Su infrastrutture, diritti civili, sicurezza. So bene che sulla Tav ci sono sensibilità diverse anche nella nostra coalizione. Ma partendo dal programma nessuno potrà poi dire: “Io non avevo capito”».
 

Si è alleato con Pizzarotti per rosicchiare consenso ai M5S?

 
«Noi vogliamo parlare a tutti. Italia in Comune è un partito che non rinuncia a proporre il cambiamento ma sa che la politica deve fare i conti con la realtà. È quella che io chiamo l’oscura fatica del riformismo. Meno facile degli slogan ma forse più produttiva per le generazioni che verranno».
 

Come giudica Zingaretti?

 
«Con la sua elezione si è ristabilita una comunità che è tornata a riconoscersi. Questo spiega il voto plebiscitario nei suoi confronti, anche aldilà della persona. Ho molto apprezzato che la sua prima uscita pubblica sia stata a favore della Tav. Non solo per la questione in sé ma per averla scelta come simbolo di un’Italia che vuole crescere. Come in montagna,simbolo di un’Italia che vuole crescere abbiamo ritrovato gli appigli giusti».
 

E ora?

 
«Ora dobbiamo continuare a salire. Non basta accontentarsi di essere tornati ben in piedi».
 

Che cosa significa?

 
«Dare vita a una coalizione ampia che si batta per governare il Paese».
 

Come la chiamiamo questa coalizione?

 
«Eh, mi verrebbe voglia di chiamarla Ulivo del 2lesimo secolo. Ma so che non va di moda».
 

È finita l’idea del Pd a vocazione maggioritaria?

 
«Se si pensa a un partito pigliatutto che azzera tutte le differenze con gli alleati, beh, sì, è finita. Se invece si pensa a una coalizione che abbia l’ambizione di diventare maggioranza nel Paese, allora si può provare».
 

Dunque non è automatico che il segretario del Pd diventi il candidato premier del centrosinistra?

 
«Secondo me non è automatico. La coalizione deve riconoscersi in una leadership che la rappresenti tutta, il Pd e gli alleati».
 

Come si crea il leader?

 
«Dall’opposizione. Con una sorta di governo ombra che incalza il governo sul merito delle questioni. Potrebbe presentarsi come la coalizione della realtà contro la politica delle fake news».
 

Basterà tutto questo a riconquistare il voto dei più poveri, che oggi hanno voltato le spalle alla sinistra?

 
«Sì, se sapremo combattere insieme ai precari, a chi è povero anche se lavora, come ricorda spesso Landini. Se sapremo portare il welfare ai poveri che oggi non ce l’hanno. E dire loro che quella è l’Europa che vogliamo».
 

Ha già pensato a che cosa farà se batterà la corrente contraria vincendo le elezioni?

 
«Tornerò a scalare il Monviso».
 

Uno sberleffo alla Lega?

 
«Un ritorno. Ci ero già stato nel 2010 portando una bandiera italiana».

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