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Ricci: “Per il M5S una sconfitta schiacciante. Pesa l’effetto Roma”

«Per Grillo è una sconfitta schiacciante». I dati dei primi exit poll fanno ritornare il sorriso sui volti degli uomini del Pd. Matteo Ricci, il responsabile Enti locali, è quello che ha seguito più da vicino le campagne elettorali nei Comuni al voto, da Alessandria fino a Trapani. «Se questi dati saranno confermati, e la premessa è d’obbligo, è davvero un risultato pesante per il M5S: su 25 capoluoghi di provincia al voto vanno al ballottaggio in 2, al massimo 3. Gli elettori sono tornati a dare fiducia a candidati più radicati sul territorio, i nostri o quelli del centrodestra».

 

Questa però non è una novità: i grillini non hanno una forte classe dirigente locale.
«Sì, ma stiamo parlando del primo o secondo partito nazionale, secondo tutti i sondaggi. Del partito che nel 2016 ha vinto a Roma e Torino».

 

Quali sono le ragioni di questi dati?
«Pesa l’effetto Roma. E anche il caso di Torino, che non è più il fiore all’occhiello del M5S come pareva nei primi mesi. Dopo un anno dalla larga vittoria di Virginia Raggi gli italiani si sono fatti un’idea di come governano. Sui territori non hanno figure credibili, i loro candidati vengono scelti con pochi clic sulla rete».

 

Una crisi solo locale o anche di valore politico nazionale?
«Se si trattasse di qualche comune direi che sono casi locali. Invece qui parliamo di 25 capoluoghi al voto, da Nord a Sud: e loro fanno i migliori risultati intorno al 20% a Genova e Palermo. Ma faccio notare che Grillo resta fuori dal ballottaggio nella sua città. E in tutti gli altri centri principali hanno numeri decisamente inferiori. Basta guardare Parma».

 

Al Pd questo risultato cosa insegna?
«Che funziona lo schema di un Pd che costruisce coalizioni civiche di centrosinistra. Questi dati dicono che il Pd è il centrosinistra. O meglio: che non può esistere un centrosinistra senza il Pd. Bisogna che tutti se ne facciano una ragione. Se riusciamo a stare uniti come partito e ad allargarci siamo competitivi, come fronte riformista, anche per il governo nazionale. Mi riferisco al premio di maggioranza del Consultellum che scatta al 40%. Mi pare un traguardo alla nostra portata».

 

Pensate ancora di raggiungere il 40%?
«È un numero che torna nella nostra storia recente, dalle europee del 2014 al referendum dello scorso dicembre. Perché escludere che si ripeta?».

Qual è dunque lo schema di alleanze che potreste replicare su scala nazionale?

«Un’alleanza con forze civiche di sinistra e di centro. È il modello che abbiamo utilizzato ovunque negli ultimi anni nei comuni. Non ci sono alleanze organiche con altri partiti».

 

Sarà così anche con il partito di Pisapia?
«Pisapia, come dimostra la storia recente di Milano, sta perfettamente dentro una storia di liste civiche di sinistra alleate col Pd».

 

Sembrate entusiasti. Ma i vostri big, a partire da Renzi, non si sono visti in tutta questa campagna elettorale.
«Quella di Matteo è stata una scelta precisa: non politicizzare questo voto. Ma tra il primo e il secondo turno vedrete che tornerà in campo. Gli altri nostri dirigenti, a partire da Maurizio Martina, sono stati in prima fila in questa campagna».

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