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Mancinelli: “Io, eletta migliore sindaca del mondo, chiedo ai dem di pensare agli ultimi”

Dice: «Non sono una piaciona. Non sopporto i radical chic. Vengo da una famiglia di partigiani, e penso che la sinistra non sia morta». Valeria Mancinelli, Pd, 64 anni, sindaca di Ancona da sei, ha vinto «la coppa del mondo» delle sindache, il World Mayor Prize 2018, indetto da una fondazione filantropica di Londra, la City Mayors. «Non ne sapevo nulla. Un giorno mi ha telefonato il direttore del CorriereAdriatico e mi ha detto che ero finita in finale con altri 26, tra cui le sindache di Parigi, Colonia, Tunisi».

 

E come ha fatto a vincere?

 

«Nella parte finale è stato decisivo il giudizio di una giuria popolare, cioè il parere motivato dei cittadini delle città in gara. Ho vinto per leadership, compassione e capacità di tenere unita la comunità».

 

Si è riconosciuta nei giudizi?

 

«Sì, dicevano che non faccio promesse a vuoto e sono insofferente alla demagogia. Non sono un tipo da teatrino della politica».

 

La politica è stata una vocazione tardiva?

 

«Fino al 2013 facevo l’avvocato amministrativista. Poi, ancora prima che fossero indette, mi sono candidata alle primarie del centrosinistra: il Pd aveva an cora il 30 per cento, ma per due volte il consiglio comunale era stato sciolto. Un disastro».

Cosa l’ha spinta a candidarsi?

 

«Ero stufa di assistere allo spettacolo delle liti. Dissi che avrei fatto esattamente il contrario di quel che era stato fatto fino a quel momento. Mi sono imposta, da outsider. Nel giugno 2018 sono stata riconfermata col 62 per cento, e il Pd sopra al 30».

 

Qual è la ricetta?

 

«Sono solo un modesto esempio di come può essere la politica se fatta lavorando duro. Godo di una trasversalità di consensi».

 

Come si risolleva una città?

 

«Ho cominciato dalle buche, poi ho ripulito i parchi e risanato il bilancio. Quindi ho guardato al futuro, varando, insieme alle migliori intelligenze, il Piano strategico: questo ha rimesso in moto energie sopite».

 

Come vuole essere chiamata: sindaco o sindaca?

 

«Come le pare».

 

Cosa intende per lavorare duro?

 

«Arrivo in ufficio alle nove e ne esco in genere alle 21, pranzo a casa: abito a duecento metri dal municipio».

 

Come concilia questi impegni con la famiglia?

 

«Sono single. Seguo mia madre, Giuseppina, che ha 97 anni. Nel Dopoguerra fu una delle prime consigliere comunali d’Italia, a Osimo: eletta nel Pci».

 

Perché non è su Twitter?

 

«Nemmeno su Instagram, da un po’ ho Facebook. Comunico alla vecchia maniera, però non disprezzo i social: bisogna starci, perché oggi la gente la trovi anche lì».

 

Ma non riduce la politica a slogan?

 

«Ma perché la campagna del 1948 non fu fatta per slogan? È così dai tempi di Pericle. Piuttosto trovo deleterio che l’azione di governo sia solo propaganda».

 

Cosa ha imparato in questi sei anni da sindaca?

 

«Ad essere più paziente. Passavo per antipatica, ruvida, sono solo diretta».

 

Chi sosterrà alle primarie?

 

«Martina».

 

Il Pd, dopo l’Abruzzo, discute di alleanze. Che fare?

 

«Ho sottoscritto il manifesto di Calenda. Ma deve passare l’idea che questa Europa è tutta da rifondare, che va rovesciata come un calzino, altrimenti saremo asfaltati».

 

Il Pd è sempre al 17%. Forse perché parla solo ai benestanti?

 

«Lo sa quanto ha ricevuto la città di Ancona per le periferie dai governi Renzi e Gentiloni? Venticinque milioni di curo. Li moltiplichi per 115 capoluoghi. Il più grande intervento degli ultimi trent’anni. Lo sanno in pochi. Le sembra normale?».

 

Non vorrà dire che la crisi del centrosinistra è solo dovuta a un difetto di comunicazione sulle cose buone fatte?

 

«Le aggiungo altre due ragioni. Abbiamo dato risposte i nsi ffi ci enti alla richiesta di protezione sociale. E abbiamo avuto una classe dirigente che non faceva che litigare».

 

Come può spendersi oggi la sinistra?

 

«Impegnandosi per una giusti zia sociale possibile per lutti e per costruire pari opportunità».

 

E c’è ancora un partito in grado rispondere a queste domande?

 

«Bisogna costruire una risposta, e qui la ricerca è aperta».

 

Intanto in Abruzzo il 33% delle donne ha votato per Salvini. Come lo spiega?

 

«Perché Salvini dà risposte sbagliate, ma più convincenti delle nostre, alle paure reali delle persone».

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