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Amendola: Intercettare i flussi di modernizzazione e cambiamento, l’Italia non perda questa occasione

“Dovremmo smetterla di fare gli sciocchi, con l’Europa ci giochiamo l’osso del collo”. Lo afferma Enzo Amendola, ministro degli Affari europei, nell’intervista al Il Foglio. “Tanto per cominciare – prosegue – la mia parte politica deve innanzitutto essere orgogliosa perché abbiamo dimostrato che l’europeismo non è un orpello da biblioteca. E che il confronto in Europa, se basato su delle proposte, produce cambiamento. Per vent’anni abbiamo fatto seminari sui bond, e adesso, signore e signori: i bond sono arrivati”. Ma c’è un ma. “Perché il paradosso sarebbe che abbiamo fatto una battaglia in Europa per impaludarci in Italia. Nei prossimi tre mesi dobbiamo lavorare, fare. E velocemente. Ora abbiamo enormi risorse, quasi 3 trilioni di euro sono stati mobilitati dalle istituzioni europee. Il dovere morale e politico del PD è promuovere le riforme e gli investimenti. Non possiamo passare il tempo a parlare. Queste cose vanno fatte. E non perché ce lo chiedono i frugali, ma perché il nostro paese era già poco competitivo prima del Covid e ha bisogno di svegliarsi. Se non ora, quando?”

Per il ministro “la prima cosa è avere una pubblica amministrazione rivoluzionata dal digitale e arricchita da una nuova generazione di persone che sappia pianificare, e non solo gestire. Servono assunzioni nella Pa, servono dei programmatori di sviluppo”.

Rispetto al M5s, cresciuto nella paura di un nemico annidato a Bruxelles, sottolinea che “Italia ed Europa sono la stessa cosa. La stessa comunità di destino”.

Mes

“Con tutto il rispetto per il dibattito sul Mes, non si può omettere che nel board del Mes sieda l’Italia e con delle quote rilevanti. Noi siamo determinanti in Europa, nel Parlamento come nelle altre istituzioni. Non c’è nessuna troika. Non c’è nessun centro di potere nascosto che vuole fregare i cittadini italiani. Anzi, io spero che presto i Cinque stelle facciano parte di una delle grandi famiglie europee proprio perché la battaglia in Europa è tutta politica e democratica. Non è un mondo di burocrazie. E credo infatti che, in questo anno, le alleanze costruite da Giuseppe Conte siano stati atti politici decisivi. A riprova che se si fa politica, si può ottenere. A marzo, quando tutti gli editorialisti italiani scrivevano il de profundis dell’Europa e qualcuno mi diceva che addirittura sarei stato l’ultimo ministro degli Affari europei nella storia italiana, questo governo ha tirato su una alleanza a nove con Snchez e Macron. Un’alleanza che ha spinto la Merkel sulle nostre posizioni. E infatti oggi, a sostegno della Commissione, quei nove paesi sono diventati la larga maggioranza. Come si fa a non ricordare che a marzo la parola ‘bond’ era vietata?”.

Recovery Fund

Tuttavia il famoso Recovery fund non è stato ancora conquistato definitivamente. “Siamo agli ultimi due tornanti. Ma l’architettura è condivisa. Si tratta di negoziare sulla dimensione delle risorse, sulla governance e sulla pianificazione degli investimenti. Non sarà facile. E’ evidente”. Alcuni stati vorrebbero sottrarre le decisioni alla Commissione per affidare la governance del fondo al Consiglio europeo, cioè ai governi nazionali. “L’Italia è contraria a questa idea, che non ha nemmeno base nei trattati. Sarà tema del prossimo consiglio. Ci auguriamo che la presidenza tedesca anche su questo faccia valere un compromesso non al ribasso. La posizione italiana è che tutto rimanga in capo alla commissione. C’è un dibattito strano però, qui non c’è un derby tra quattro paesi frugali e quattro paesi spendaccioni del sud. Qui c’è una contestazione, da parte dei frugali, di una proposta della Commissione sostenuta dal Parlamento europeo e dalla maggioranza dei paesi membri. Non è un derby Italia-Olanda”.

Salvini e Meloni

Amendola ritiene che “Salvini e la Meloni dall’inizio hanno scommesso sul collasso europeo. E con tutto il rispetto, mi sembra una scommessa che non gli porta niente. Con il paradosso che i loro alleati in Europa, dall’Olanda alla Germania, stanno facendo fuoco e fiamme con l’obiettivo di fermare il programma della Commissione. Che è un programma che serve all’Italia. Berlusconi invece ha tenuto una posizione più saggia, sin dall’inizio. Ma dico una cosa, anche a proposito di Salvini e Meloni: sarebbe ora che, tolta la valanga di tweet belligeranti, ci sedessimo tutti insieme a discutere di quali priorità dare agli investimenti da mettere in campo con i fondi europei. Perché questi soldi, queste risorse, non saranno per il governo ma per il paese”.

Recovery nazionale

“E sarebbe il caso che il piano di recovery nazionale diventasse anche patrimonio del centrodestra”. Anche di Salvini e Meloni, “perché sono soldi per l’inclusione, la transizione green e digitale. Cose destinate a trasformare il volto dell’Italia nei prossimi anni. E non credo che farà bene a Salvini e Meloni stare sugli spalti a commentare o a insultare. La classe dirigente si vede anche in questi passaggi, lo ripeto. Ovviamente non sto proponendo una nuova maggioranza di governo, ma mi auguro un salto di qualità della nostra coesione politica. Ne guadagnerebbero anche in popolarità, credo. Tutti”.

Sovranismo

“Non temo che vinca il sovranismo – conclude il ministro – poiché questa crisi ha decostruito i fondamentali del sovranismo in tutto il mondo. E’ chiaro a tutti infatti, ormai, che nessuno si salva da solo. E che non si può fare da soli. Quello che temo invece per il mio, il nostro paese è di non intercettare i flussi di modernizzazione e cambiamento che si sono attivati in Europa. Io temo un’Italia che si lascia sfuggire questa occasione storica, un’Italia che resta ferma a discutere di cose assurde, che si accapiglia sulla forma della ripresa, se sarà a U o a V, mentre gli altri ripartono e investono sul digitale e la cyber security. Tutte rivoluzioni che sono in atto, sono partite , mentre noi stiamo ancora a discutere sull’allineamento, sul Mes, in un continuo talk-show nazionale tra i piccoli calcoli di partito e di corrente”.

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