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Europa, Amendola: “Nuovo inizio. L’Italia sarà protagonista delle sfide europee: Libia, migranti, Green Deal”

Davvero gli interessi di Italia e Francia in Libia sono così in contrasto da impedire un’iniziativa comune europea per stabilizzare il Paese?

«Sono stereotipi privi di senso. Dobbiamo cooperare nel Mediterraneo e nel Sahel per pacificare e combattere il terrorismo, aiutando i Paesi del Maghreb preoccupati per le interferenze sulla Libia. Italia e Francia devono far rispettare insieme all’Ue le scelte fatte a Berlino. Per fermare indebite pressioni militari esterne».

 

Non c’è contrasto perché all’Italia interessano i giacimenti di idrocarburi del Nord della Libia e alla Francia i minerali rari del Sud?

«La Francia è schierata soprattutto per la stabilità e la lotta al terrorismo nel Sahel. Su questo dobbiamo collaborare di più. Per la Total l’estrazione petrolifera in Libia è poca cosa, Eni e Total lavorano insieme a Cipro e nel Libano, il resto sono frottole».

 

Immagina un contingente europeo che faccia peacekeeping in Libia?

«Abbiamo già detto che l’Italia è pronta, nel quadro della legalità internazionale e con la condivisione delle parti libiche. Abbiamo più di seimila soldati in missioni di pace, siamo il primo contingente tra gli occidentali in operazioni di peacekeeping. Le nostre responsabilità ce le siamo sempre assunte».

 

Il quadro oggi è più favorevole per un accordo europeo sui migranti?

«Martedì avremo a Roma i due commissari competenti, Margaritis Schinas e Ylva Johansson. Le loro prime indicazioni segnano un cambio di marcia. Ci vogliono interventi strutturali, cambiando le regole sull’asilo comune europeo, permettendo l’entrata con corridoi umanitari e dando un impulso ai rimpatri assistiti. Usciamo dal dibattito sugli sbarchi, che non ha portato a nulla. L’Europa deve cominciare a muoversi in base a risorse e norme chiare e interventi rapidi. A partire dalle isole greche, dove sono ammassate 79 mila persone. Le premesse ci sono, visto che su questo il bilancio Ue 2021-27 investe molto».

 

Qual è il punto fondamentale che chiedete alla Commissione?

«II pacchetto dev’essere omnicomprensivo. Un aspetto importante è che si entri in Europa e se ne esca in aereo, con rimpatri assistiti. Ma questo comporta anche una nuova regola per l’asilo».

 

Significa che si faranno centri europei in Africa per filtrare lì le richieste?

«Significa che l’Europa li va a prendere. Matteo Salvini non lo dice mai, ma noi abbiamo fatto corridoi umanitari anche quando il ministro dell’Interno era lui. Accordi che non ha mai stracciato».

 

Quanti richiedenti asilo sono entrati così durante il periodo di Salvini?

«Oltre mille. Ma quel che mi preme dire ora è che abbiamo l’occasione di andare verso un sistema comune di entrata e uscita, con la riforma di Frontex. Questo aiuterà i singoli Stati, anche finanziariamente, a fare i rimpatri, che per altro con il nostro governo sono già aumentati rispetto ai tempi di Salvini. Dobbiamo negoziare per superare la regola di Dublino, che impone l’asilo sempre e solo al Paese di primo ingresso».

Il contributo dell’Italia al Green New Deal europeo è superiore alle somme che saranno allocate al Paese. Preoccupazione fondata?

«No. Vedo che alcuni scoprono solo ora che siamo contributori netti del bilancio Ue, ma il “Pacchetto sostenibilità” della Commissione include un piano di io° miliardi di investimenti annui. Questo implica leve di moltiplicazione delle risorse sui mercati, con la garanzia del bilancio Ue: investimenti pubblici e privati di enorme portata. I nostri imprenditori piccoli e grandi e i maggiori istituti finanziari del Paese lo hanno capito. Anche del piano Junker qualcuno diceva che ci avremmo perso, invece siamo grandissimi beneficiari. Il bilancio Ue fa garanzia per gli investitori».

 

Sicuro di riuscire ad attrarli mentre si minaccia di punirli revocando la concessione ad Autostrade?

«Su questo non mi pronuncio, lasciamo lavorare la mia collega ai Trasporti Paola De Micheli. A me interessa soprattutto il piano per l’ambiente. L’Europa nel dopoguerra si è costruita sul carbone e ora la si rilancia con l’uscita dal carbone. Inclusa una Carbon Border Tax, una tassa all’ingresso in Europa per chi produce nel resto del mondo inquinando. Ci lavoriamo con i francesi».

 

Non è il modo migliore per scoprire il fianco a ritorsioni sui dazi da parte degli Stati Uniti di Donald Trump?

«No, perché il problema è anche in Asia. Pensi che la sola Mumbai produce più CO2 di un medio Paese europeo».

 

Aprire agli aiuti di Stato e indebolire le regole di concorrenza rafforzerà la posizione di Paesi più forti di noi?

«Parliamo di grandi progetti europei impossibili senza sostegno pubblico. Finiremmo per dover comprare tecnologia dalla Cina o dagli Usa. L’Italia partecipa in prima fila ai progetti nei consorzi europei. Dove ci sono Paesi con più capacità di intervento e campioni nazionali, l’obiettivo è costruire catene strategiche di valore europeo, in cui possano inserirsi anche le piccole e medie imprese italiane».

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