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Gentiloni e Breton: “Occorre un fondo per la rinascita. E’ adesso il momento di salvare l’Unione”

Per natura e ampiezza, la crisi del Covid-19 richiede una mobilitazione storica da parte degli Stati membri e dell’Unione europea in termini di governance, di determinazione e di mezzi.

Ognuno adesso ne è consapevole: nessun Paese, nessun continente può affrontare da solo la minaccia sanitaria del coronavirus. Allo stesso modo, nessun Paese e nessun continente sarà in grado di combattere e vincere da solo la sfida economica per un pianeta in cui quasi quattro miliardi di abitanti – metà dell’umanità – vivono ormai in una situazione di confinamento.

I Paesi europei hanno rapidamente messo in atto piani di emergenza per assicurare le esigenze di cassa delle imprese che rallentano o sono ferme. L’accesso alla liquidità è una priorità assoluta. È quindi vitale che queste imprese possano molto rapidamente contare sul sostegno delle loro banche attraverso garanzie al credito fornite dagli Stati.

La Banca centrale europea, a sua volta, ha già impegnato un importo di 750 miliardi di euro aggiuntivi che permettono di procedere a consistenti acquisti di debiti obbligazionari emessi dagli Stati membri e dalle rispettive imprese. Infine, e come previsto dalla legislazione europea, la Commissione europea di Ursula von der Leyen ha temporaneamente sospeso le regole di disciplina di bilancio per permettere agli Stati membri in queste circostanze eccezionali di indebitarsi fuori dal rispetto dei criteri di Maastricht.

Questa prima risposta sulla linea del fronte era indispensabile per darsi i mezzi per garantire la sicurezza finanziaria e dunque la sopravvivenza degli attori economici, ossia dell’intero sistema economico. Tuttavia, oggi dobbiamo andare più lontano per arginare la crisi, preservare le imprese, proteggere i dipendenti e poi rilanciare presto, Paese per Paese, il tessuto produttivo e il mercato interno dell’Unione. Spetta a ciascuno degli Stati membri, ovviamente, elaborare il proprio piano dí rilancio.

Una cosa però è evidente: nessuno Stato europeo, né del nord né del sud, dispone di mezzi propri che gli permettano di far fronte, da solo, a un tale shock. Nessuno. Sono quindi tre i princìpi che devono guidarci nel rispondere a questa domanda di finanziamento che è al centro delle sfide che l’Unione si trova ad affrontare: nessun Paese deve essere lasciato indietro; nessuna economia può restare la vittima isolata della pandemia; tutti gli Stati membri devono avere un accesso equo e in condizioni simili al debito necessario per finanziare i loro piani.

Una cosa è certa: le esigenze finanziarie complessive dei 27 paesi dell’Ue devono essere commisurate a ciò che è in gioco. Possiamo quindi osservare che il piano tedesco di ulteriori emissioni per 356 miliardi di euro votato dal Bundestag (che si aggiunge al primo piano di 600 miliardi di euro che includeva 400 miliardi di garanzie) rappresenta il 10% del suo Pil.

Se dovessimo assumere per ipotesi questa percentuale del 10% per l’Unione europea, le necessità di finanziamento complementari potrebbero situarsi in una dotazione da 1.500 a 1.600 miliardi di euro da iniettare direttamente nell’economia.

Oltre che con gli strumenti e i mezzi messi a disposizione dalla Bce, si può arrivare a un tale importo soltanto individuando ulteriori strumenti atti a garantire che ciascuno Stato membro possa accedere al credito in modo pari ed equo per finanziare i rispettivi piani. Questo principio è certamente indispensabile per assicurare un «level playing field» tra gli Stati membri dell’Unione; ma anche tra l’Europa nel suo insieme e gli Stati Uniti, il cui piano è già messo in funzione. E come per gli Stati Uniti, il momento di agire per l’Europa è adesso, e non tra sei mesi.

Il sostegno aggiuntivo può essere offerto attraverso strumenti non convenzionali, già esistenti oppure no, che permetterebbero di andare più lontano. Ad esempio tramite il ricorso alle capacità d’intervento del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) – ma in maniera innovativa e rivedendo i suoi criteri di condizionalità che devono essere alleggeriti e ricentrati sulla risposta alla crisi. O ancora guardando alla Banca europea di investimenti (Bei), che potrebbe vedere aumentare la sua potenza di fuoco nei tempi compatibili con l’urgenza della situazione.

Tutto questo potrebbe andare in aggiunta al meccanismo da cento miliardi di euro proposto dalla Commissione per sostenere i lavoratori e mantenere il loro reddito (Sure). Tuttavia, a fronte delle dimensioni della sfida, un quarto pilastro per i finanziamenti europei si renderà necessario. Come la Bce nella sfera monetaria e finanziaria, gli Stati membri devono dare prova, adesso e insieme, del necessario spirito di decisione e di innovazione.

Questo potrebbe avvenire, ad esempio, nella forma di un Fondo europeo espressamente concepito per emettere obbligazioni a lungo termine. Sarebbe d’altronde assolutamente possibile, perché no, destinare a un tale strumento di finanziamento non convenzionale delle risorse di bilancio e dotarlo di una governance che consenta di evitare qualsiasi moral hazard, in particolare per quanto riguarda l’obiettivo dei finanziamenti che potrebbero essere strettamente circoscritti agli investimenti comuni di rilancio industriale legati alla crisi attuale. Tenendo conto dell’urgenza e dell’entità dei bisogni, questa idea permetterà di anticipare e poi di completare l’aumento del bilancio dell’Ue che la Presidente von der Leyen ha dichiarato di auspicare.

Il tempo stringe. Le circostanze necessitano di dare prova di creatività. L’Europa ha imparato dalle crisi precedenti. Di fronte a questa crisi, non mancherà l’appuntamento con la storia. Noi siamo fiduciosi che saprà esprimere una solidarietà incrollabile, per uscire rafforzata da questa situazione inedita.

di Thierry Breton e Paolo Gentiloni

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