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Gentiloni: “La crisi Trump-Iran dimostra che l’ Ue deve fare passi in avanti o continuerà a trovarsi di fronte a fatti compiuti”

«L’ambizione della nuova Commissione europea a svolgere un ruolo internazionale è decisiva per evitare di trovarsi di fronte a fatti compiuti», come invece sta avvenendo su Iran e Libia. Lo afferma Paolo Gentiloni, commissario europeo all’Economia che dopo un mese dal suo insediamento a Bruxelles parla a tutto campo. L’ex premier e ministro degli Esteri italiano sottolinea che le politiche dei porti chiusi di Salvini hanno contribuito a far precipitare nell’instabilità Tripoli poiché hanno trascurato «il sostegno economico e umanitario» necessario alla Libia.

 

Inoltre spiega che l’Europa «non ha chiesto una manovra bis» all’Italia. Annuncia che nel 2020 lavorerà a una forte «spinta espansiva» che aiuti la crescita del Continente e infine chiede al governo italiano «di non vivere alla giornata», ma di concentrarsi su provvedimenti che guardano al futuro del Paese.

 

Ursula von der Leyen ha tracciato l’ambizione di presiedere una Commissione Ue “geopolitica”, ma le crisi in Iran e Libia sembrano restituire ancora l’immagine di un’Europa ininfluente: è così?

«L’intenzione della nuova Commissione di svolgere un ruolo geopolitico, come l’ha definito Ursula von der Leyen, trova drammatiche conferme di necessità in questo inizio 2020. Dobbiamo evitare che la realtà geopolitica sia più veloce della nostra ambizione e dunque questo complicato obiettivo deve essere accelerato. Nel Mediterraneo e in Medioriente il problema è chiaro: la riduzione della presenza americana e della sua leadership multilaterale crea un vuoto che, se non acceleriamo, rischia di essere riempito da attori con media ambizione imperiale e in conflitto tra loro».

 

Riferimento a Russia e Turchia: invece cosa deve fare l’Europa per crescere in politica internazionale?

«Non c’è una formula magica per rafforzare il ruolo globale dell’Unione, in generale serve un mix tra diplomazia europea, uso della nostra immensa forza commerciale, rafforzamento del ruolo internazionale della moneta unica e una politica di difesa comune. Queste quattro dimensioni gradualmente devono essere potenziate per consentire alla Ue di contare nel nuovo grande gioco che si è aperto a livello globale. Se invece non facciamo passi avanti, siamo destinati a continuare a reagire con rassegnato stupore di fronte a fatti compiuti in zone a noi vicine».

 

In Iran come in Libia è evidente che, nel momento in cui parlano le armi, la voce dell’Unione si perde nel loro frastuono: quando menziona la difesa comune, auspica la nascita di un esercito europeo?

«Certamente nuovi passi avanti in questo senso sono necessari, molto è stato fatto ma dobbiamo accelerare». Se fossimo stati più attrezzati, saremmo potuti entrare in Libia per stabilizzare il Paese prima dell’intervento di Russia e Turchia? «Si possono considerare anche nuove missioni europee, ma non semplifichiamo troppo pensando che una missione militare europea, che oggi non c’è, avrebbe potuto risolvere la crisi libica. Ripeto: il traguardo è usare al meglio tutte le carte di cui disponiamo».

 

L’Iran ha annunciato che uscirà dall’accordo sul nucleare: quanto giudica pericoloso questo passo?

«Non è una decisione positiva e vivo con preoccupazione l’evidente rafforzamento delle posizioni più oltranziste nella leadership iraniana».

 

Una dinamica accelerata dall’uccisione del generale Soleimani ordinata da Trump: l’Europa avrebbe dovuto stigmatizzare con più forza il raid?

«Più che fare gli osservatori che giudicano le mosse altrui, dovremmo metterci nella condizione di fare le nostre scelte. È ovvio che gli Stati Uniti restano il nostro principale e indispensabile alleato. Quanto alle loro decisioni, ne vedremo le conseguenze nei prossimi mesi. La mia preoccupazione è che la giusta volontà di esercitare una deterrenza finisca per sortire l’effetto opposto, cioè un’escalation e il rafforzamento delle posizioni più estreme a Teheran. L’Europa fa bene a contrastare questi rischi invitando tutte le parti a non compromettere del tutto la situazione e cercando di tenere aperti spiragli di dialogo. L’invito rivolto dall’Alto rappresentante Ue, Josep Borrell, al ministro Zarif va in questa direzione».

 

Ciononostante le minacce tra Stati Uniti e Repubblica Islamica sono sempre più preoccupanti. Teme una guerra aperta?

«Non direi. Piuttosto segnalo che ci sono due teatri che possono subirne conseguenze, l’Iraq e il Libano. Non dimentichiamo che sono due Paesi nei quali la presenza militare europea vuol dire innanzitutto presenza militare italiana. Per questa ragione l’invito del governo a evitare di compromettere del tutto la situazione è condivisibile e tiene conto dell’interesse nazionale».

 

In Libia le cose non vanno meglio: Russia e Turchia sono calate nel Paese e l’Europa sembra tagliata fuori tanto che la prevista visita nel Paese di Borrell e dei quattro ministri Ue al momento non è stata possibile: un altro segno di irrilevanza europea?

«In Libia abbiamo avuto quattro anni di “non guerra” grazie al fragile accordo raggiunto nel 2015 su iniziativa di Stati Uniti e Italia. Ora ci troviamo di nuovo sull’orlo del baratro per una serie di ragioni tra le quali il disimpegno americano, l’attitudine dei Paesi europei a muoversi in ordine sparso e infine per via dell’abbandono del dossier da parte del precedente governo italiano. Il suo ministro dell’Interno, Matteo Salvini, ha lucrato sui risultati del predecessore, Marco Minniti, senza proseguire con le necessarie politiche per stabilizzare la Libia. La faccia feroce in qualche porto non ha potuto riempire l’assenza di un intervento sul piano economico e umanitario. Il nuovo governo ha purtroppo subito questa eredità negativa e oggi lavora in un contesto deteriorato».

 

Pensa che la situazione sia ormai compromessa o invece Europa e Italia hanno margini per recuperare?

«Bruxelles sta lavorando proprio per questo. Penso si possa sempre recuperare e non certo schierandosi da una parte o dall’altra. Tanto meno accettando l’idea che le sorti della Libia le decidano attori esterni. Il mio auspicio è che si eviti alla Libia di precipitare di nuovo nel baratro poiché in gioco, oltre al ruolo geopolitico dell’Europa, ci sono anche interessi nazionali molto rilevanti per l’Italia. Abbiamo un progetto delle Nazioni Unite, indebolito, ma che non va abbandonato, così come non va abbandonato l’accordo bilaterale tra Italia e Libia che giustamente il Parlamento ha deciso di modificare. Lasciare la Libia al suo destino significherebbe farla precipitare in un contesto di guerra civile, scenario pericoloso per l’Italia se si pensa a migranti, sicurezza e interessi economici».

 

A proposito di economia, cuore del suo portafoglio europeo: nelle scorse settimane la Commissione ha indicato che per rispettare il Patto di stabilità l’Italia dovrà prendere ulteriori misure. Significa che nel 2020 il governo dovrà mettere in campo una manovra bis?

«La Commissione esamina i diversi bilanci nazionali e quest’anno ha formulato osservazioni specifiche rivolte a nove Paesi e in particolare a Italia, Francia e Belgio. Ma a nessuno sono state chieste manovre correttive. Detto questo, nell’interesse nazionale non è possibile sottovalutare il problema delle dimensioni del nostro debito pubblico».

 

Tra poche settimane firmerà un rapporto sul funzionamento del Patto di stabilità: quali criticità evidenzierete e quali riforme proporrete per migliorare le regole dell’euro?

«Pubblicheremo come Commissione le nostre valutazioni sul Patto, dopodiché si aprirà un dibattito pubblico con tutte le forze sociali, economiche e coni parlamenti nazionali. Poi, entro la fine del 2020, prenderemo le decisioni necessarie a migliorare le regole. Deve essere fin da ora chiaro a tutti che il punto sarà come affrontare una congiuntura caratterizzata da un rallentamento della crescita che può durare molto a lungo».

 

In che modo?

«Penso si debba dare una spinta espansiva alle nostre economie perché non possiamo affidarci esclusivamente alla politica monetaria della Banca centrale europea, che pure ha fatto miracoli. Dobbiamo accelerare sugli investimenti, in particolare per quanto riguarda quelli legati alla sfida del Green Deal, sull’utilizzo degli spazi per politiche espansive da parte dei Paesi che hanno maggiori margini di manovra, sul coordinamento delle politiche di bilancio e sulle politiche fiscali che riguardano energia, digitale e tassazione d’impresa. La stabilità resta un obiettivo necessario, ma di fronte al rischio di un’economia a bassissima crescita prolungata è necessario anche uno sforzo per rendere più dinamiche le nostre economie. Questo sarà il mio impegno nei prossimi mesi».

 

Sarà possibile scorporare del tutto gli investimenti verdi dal calcolo del deficit con una golden rule o invece è più probabile che possano rientrare nei criteri con cui Bruxelles concede flessibilità?

«Troveremo le forme più adeguate. Quel che conta è raccogliere anche in campo economico la sfida del Green Deal. La presidente e il suo vice, Frans Timmermans, sono stati chiari».

 

Passando alla politica italiana: lei è ancora convinto che il Pd non sarebbe dovuto entrare in questo governo con I’MSS?

«Penso sia stato legittimo discutere se far nascere questo governo fosse un danno a Salvini oppure un rischio per i suoi promotori, così come sul livello di discontinuità che avrebbe dovuto avere rispetto al precedente. Tuttavia questa discussione è finita nel mese di agosto e per quanto mi riguarda da allora il sostegno all’attuale governo da parte del Pd deve essere totale. In questa ottica, condivido le scelte del segretario Nicola Zingaretti».

 

Ritiene che l’attuale governo abbia un grado di discontinuità sufficiente rispetto a quello precedente? Il Pd sta dando un contributo adeguato o è troppo schiacciato dall’alleanza con i Cinquestelle?

«Se ci guardiamo in giro in Europa, dalla Spagna all’Austria, vediamo nascere in questi giorni governi con alleanze inedite rispetto a quelli del passato. Anche in Italia il Partito democratico lavora in un governo che ha una connotazione Medita ma come dice spesso Zingaretti, questo non può significare che debba vivere alla giornata».

 

Come evitarlo?

«Purtroppo il dibattito politico italiano spesso vive alla giornata, anche sottovalutando temi come innovazione, clima, lavoro e formazione. Ma si governa per il futuro e sono proprio questi i temi su cui puntare. Sempre restando consapevoli che la dimensione europea è il tratto identitario di questo governo rispetto a quello precedente. Lo dico senza alcun imbarazzo: la scelta di campo per l’Europa rappresenta l’identità più profonda del governo italiano».

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