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La forza della pace

La missione in Israele e nei Territori Palestinesi del Capo del Governo italiano si segnala in primo luogo per tempestività. All’indomani dell’accordo tra comunità internazionale e Iran che molte inquietudini suscita nella società israeliana – e non solo tra gli elettori di Nethanyahu – era giusto dare un segnale chiaro e forte di vicinanza e amicizia a Israele. Aver sostenuto l’utilità dell’accordo con Teheran – e l’Italia lo ha fatto senza reticenze – non può significare neanche per un istante la messa in discussione del diritto dello Stato di Israele ad esistere e a vivere nella sicurezza e riconosciuto dai suoi vicini. Nella solennità della Knesset Renzi lo ha affermato con parole nette e il rifiuto di ogni forma di boicottaggio contro Israele suggella una posizione inequivoca che non sempre si riscontra in altri leader europei.

 

Certo, andare oggi a parlare di pace in quello scacchiere richiede una visione che non si lasci scoraggiare dalla realtà.

 

La tragedia siriana, le guerre civili in Libia e Yemen, la violenza fanatica e brutale del Califfato, l’acuirsi dello scontro tra sciti e sunniti in Iraq, le persecuzioni contro i cristiani, il diffondersi del fanatismo della jihad in tutta la regione, i barconi di profughi con il loro carico di dolore e di schiavitù: in un tale scenario pace e stabilità appaiono obiettivi lontani e impraticabili. Tanto più quando il terrorismo jihadista per dimostrare la sua potenza punta a colpire ovunque e chiunque, dai giornalisti di Parigi ai turisti di Tunisi. Eppure la sola scelta che oggi non può essere compiuta è arrendersi alla rassegnazione di una convivenza negata, di una instabilità permanente e insolubile. Battersi perché si affermino pace, stabilità e diritti è un impegno inderogabile di adesso, non di domani.

 

È stato giusto andare a riaffermarlo a Gerusalemme e Betlemme, là dove da quasi settantanni si consuma un conflitto intorno a cui sono ruotati i tanti eventi che hanno segnato la vita dell’intera regione e dei suoi molti popoli. È stato giusto ribadire lì che l’unica soluzione al conflitto israelo-palestinese, per quanto appaia difficile, è «due Stati per due popoli». Non si guardi a questa formula in modo superficiale. In realtà in quella espressione vi è la consapevolezza che dietro a quel conflitto non vi è un torto contro una ragione (come erroneamente credono coloro che predImage licensed by <a href=”http://www.ingimage.com”>Ingram Image</a>icano il boicottaggio di Israele). La verità è che sono entrati in collisione due ragioni: perché è una ragione il diritto di Israele a vivere in confini sicuri e riconosciuti; ed è una ragione il diritto del popolo palestinese a vivere in un proprio Stato indipendente e sovrano. Due diritti ugualmente legittimi che possono produrre pace in quanto si realizzino entrambi. Tant’è che la pace è apparsa vicina e possibile ogni volta che – dalla prima Conferenza di Madrid del 1991 ai colloqui di Oslo all’Accordo di Wasinghton – i due contendenti si sono riconosciuti e si sono seduti insieme al tavolo dei negoziati. E quella stessa pace, invece, si è allontanata ogni volta che ciascuno ha pensato di affermare il proprio diritto negando il diritto dell’altro.

 

È, dunque, lungimirante affermare proprio adesso la volontà dell’Italia di promuovere una azione politica e diplomatica per riaprire la strada ad una pace che non solo è l’unica soluzione al conflitto israelo-palestinese, ma anche chiave di volta per contrastare chi vorrebbe insanguinare l’intero Medio Oriente precipitandolo nel buco nero di una permanente guerra tra civiltà. E l’Italia, per la sua proiezione geopolitica, per i rapporti storico culturali che lo legano al Mediterraneo, per il ruolo di cerniera svolto tra Unione Europea e paesi del NordAfrica, per la «equivicinanza» a Israele e al popolo palestinese, è chiamata davvero a giocare oggi un ruolo strategico per la pace, la sicurezza, i diritti.

 

Piero Fassino su l’Unità

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